Visioni

Fenomenologia della gioia in un paese cattolico

Fenomenologia della gioia in un paese cattolicoMilleluci, 1974

Icona gay Ha sempre avuto un posto fisso nelle compilation delle sfilate dell'orgoglio e nel World Pride di Madrid del 2017 è stata acclamata come madrina. L'artista Francesco Vezzoli le ha tributato onori alla sua mostra presso la Fondazione Prada

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 6 luglio 2021

«Raffaella Carrà ha contribuito a liberare il corpo delle donne, forse più di molte femministe» dichiarava nel 2017 Francesco Vezzoli in occasione dell’inaugurazione della mostra TV 70 alla Fondazione Prada di Milano. Una sezione – Fenomenologia di Raffaella Carrà-Milleluci – proponeva la visione di alcune puntate storiche del celebre programma tv intervallato da incontri sul fenomeno-Raffaella ispirati, ma con maggiore affetto, al famoso studio di Umberto Eco su Mike Bongiorno. Perché per Vezzoli Raffaella ha rappresentato un «cambiamento culturale in un momento in cui i politici non pensavano alla Rai come un luogo importante. La televisione la potevano fare le belle donne che ballavano, quindi il corpo della donna poteva attrarre e intrattenere, ma le cose serie stavano altrove. E invece il corpo si è vendicato ed è diventato potentissimo anche dal punto di vista politico».

UN RUOLO DIROMPENTE Carrà non l’ebbe solo alla tv italiana ma anche in quella spagnola. Lo dimostrano la recente produzione del musical Ballo, Ballo (Explota Explota) di Nacho Álvarez, in Italia su Prime con un suo cameo, e il film Las Niñas di Pilar Palomero, passato all’ultimo Torino Film Festival, con protagoniste alcune ragazzine degli anni 90 che assistono a una puntata di Hola Raffaella che parla di contraccezione e preservativi.
Questo è un elemento fondamentale per comprendere perché, oltre che alle donne, lei piaceva molto a un mondo gay che pesca le sue icone tra le artiste con carisma, lustrini e sensualità. All’Huffington Post un giorno disse: «Morirò senza saperlo. Sulla mia tomba lascerò scritto: ’Perché sono piaciuta tanto ai gay?’». La risposta sta probabilmente nel fatto che in un paese cattolico e moralista come il nostro lei celebrava giocosamente e ironicamente il sesso e l’affettività in tutte le forme. Che si trattasse di notti con Pedro a Santa Fé o di viaggi da Trieste in giù era sempre il momento di prendere l’iniziativa, di assumersi il rischio di desiderare sul filo del rasoio come nel numero musicale ad alta intensità camp sulle note di Tanze samba mit mir/A far l’amore comincia tu in Gocce d’acqua su pietre roventi (2000) di François Ozon.

E IL RISCHIO può anche prevedere il fallimento a cui reagire con filosofia come capitava alla protagonista di Luca: «Era un ragazzo dai capelli d’oro/E gli volevo un bene da morire/ Io lo pensavo tutto il giorno intero/Senza tradirlo neppure col pensiero/Ma un pomeriggio dalla mia finestra/Lo vidi insieme ad un ragazzo biondo/ Chissà chi era, forse un vagabondo/Ma da quel giorno non l’ho visto proprio più».
Questa vicinanza di spirito con la comunità gay ha guadagnato a Raffaella omaggi, citazioni, infinite imitazioni e un posto fisso nelle compilation di tutte le feste e sfilate dell’orgoglio tanto che al World Pride 2017 a Madrid le fu tributato il titolo di madrina. Ricevendo il riconoscimento dichiarò: «Viva questa settimana di allegria, ma le lotte non sono finite. Dobbiamo ancora ’fare molto fuoco’ per eliminare i pregiudizi. Avremo successo».

DA IERI PIOVONO I TWEET di cordoglio della comunità. Alessandro Zan scrive: «La scomparsa di Raffaella Carrà mi lascia attonito. Per oltre cinquant’anni con la sua arte e la sua musica ha combattuto contro stereotipi e discriminazioni. Ha parlato al mondo di libertà e gioia. Finisce un’era, c’era ancora bisogno di lei. #miscoppiailcuor». Sbigottita e addolorata, Vladimir Luxuria omaggia «la colonna sonora delle nostre feste e dei nostri Pride, i suoi look imitati da mille drag queen in tutto il mondo, il suo sorriso… farai ballare gli angeli», mentre Cristiano Malgioglio piange «una amica meravigliosa».
Dal canto suo, Monica Cirinnà ne ricorda l’«impegno civile, generoso, per i diritti, che l’ha resa icona della Lgbt+ e per tante di noi, ragazze degli anni 70 che si avvicinavano al femminismo. Mancherà ma noi continueremo a sorridere e a ballare, libere, come lei è stata». Le icone (gay), per fortuna, non muoiono mai.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento