Fenomelogia della dieta tra salute e giudizio morale
Scaffale Il libro di Ilaria Ventura Bordenca, «Essere a dieta. Regimi alimentari e stili di vita» (Meltemi), analizza il tema attraverso l'evoluzione dei concetti di dieta, corporeità, grasso e alla luce dei discorsi sulla perdita di peso, sulle astensioni etiche e salutistiche, sull’alimentazione infantile e il ruolo degli esperti in tv
Scaffale Il libro di Ilaria Ventura Bordenca, «Essere a dieta. Regimi alimentari e stili di vita» (Meltemi), analizza il tema attraverso l'evoluzione dei concetti di dieta, corporeità, grasso e alla luce dei discorsi sulla perdita di peso, sulle astensioni etiche e salutistiche, sull’alimentazione infantile e il ruolo degli esperti in tv
È uno spettro variegato di fobie quello del decreto Zan sulle misure di contrasto alla discriminazione e alla violenza: omotransfobia, xenofobia, misoginia, credo religioso, persone disabili. Ma che ne è dell’obesofobia? Tabù. Il giudizio morale sull’incapacità di essere buoni cittadini sporca da sempre l’immagine dell’obeso. L’ingordigia è un vizio capitale e «gente maladetta» sono i golosi all’Inferno per Dante. Anche a Natale l’obeso, più che da amare, è da guarire.
Il libro di Ilaria Ventura Bordenca, Essere a dieta. Regimi alimentari e stili di vita (Meltemi, pp. 380, euro 24), parte da una buona domanda – cosa significa mangiar bene? – e mostra i principi della dietetica contemporanea. Con una premessa: l’essere a dieta non è soltanto la situazione temporale del mettersi a regime. È l’essere che anela a un riconoscimento positivo; ed è la ricerca di una diaita (dal greco antico záo, «vivere»), di una condotta e una regolazione della vita. In ballo c’è il giudizio della collettività sul corpo e le aspettative dell’individuo che è un corpo, guai oggi se extralarge.
IL VOLUME è diviso in cinque parti. La prima racconta la storia dei concetti di dieta, corporeità e grasso. Le altre quattro analizzano, con metodo semiotico, testi e discorsi sulla perdita di peso, sulle astensioni etiche e salutistiche, sull’alimentazione infantile e il ruolo degli esperti in tv. La Factual television, con sedicenti documentari della realtà «così com’è» – gli interventi di bypass gastrico di Vite al limite – non fa che enfatizzare tendenze sociali attuali, tra abbondanze stigmatizzate, fatiche e fallimenti che situano questa categoria nell’abnorme. Per l’autrice una costante lega queste pratiche: la visione scientifica della dietetica.
Oggi mangiare non è condividere il gusto né, quando in eccesso, è visto come uno sfogo a carenze d’affetto, ma è un modo per curare la salute fisica. Il nutrizionista, che si assume il peso dei corpi altrui, è il solo scienziato che continua a esercitare autorità. La sua oggettivazione del corpo è talmente ben congegnata, ricca di delegati di informazione quantitativa come il misuratore della pressione, i referti delle analisi sanguigne, la circonferenza addominale, i test allergici, l’insindacabile bilancia, da essere efficace a livello simbolico. Si crede al nutrizionismo tanto da accettare nuove intolleranze o cambiare, di anno in anno, l’alimento «buono»: dall’avocado allo zenzero al magnesio supremo.
IL NESSO UNICO nutrizione-salute crea uno iato fra razionalità «dura» dell’esperto e comportamenti «molli» dell’obeso, divenendo la forma più influente di biopolitica, di controllo dei soggetti attraverso i corpi. Eppure in passato non si rimetteva ad altri il compito di programmare il proprio regime di vita. La dietetica rientrava in una visione globale dell’individuo, per cui mens sana in corpore sano. E lo stare in carne (non troppo) era un valore positivo: segno di bellezza, ricchezza, rilevanza sociale.
L’ideologia del nutrizionismo emerge quando Ventura Bordenca indaga l’astensione da cibi «cattivi» e la conversione al veganismo, con autobiografie simili ai mutamenti di fede religiosa, ma anche nella sezione sui generi di dieta, in concorrenza, low carb (Weight Watchers), iperproteiche (Dukan), cronodiete (Tisanoreica), diete «a blocchi» (Zona). Va di moda la Paleodieta, ispirata ai cavernicoli (simulacro discutibile…) – niente stress, dormire tanto, mangiare ciò che offre «spontaneamente» la natura. È però nelle pubblicità alimentari per bambini e sul baby food design che emerge il dato più rilevante: l’educazione al salutismo comincia nell’infanzia. La comunicazione di massa vuole il bambino circondato di delegati non umani – le posate in silicone, il piatto termico, il bavaglino con tasca raccoglibriciole – che fanno al posto suo, assorbendone le competenze. Fin da piccoli, nel rapporto con il cibo, il mondo si appropria degli sbagli altrui, anziché insegnare a gestirsi in autonomia. Riprendiamoci i nostri corpi e il piacere della commensalità.
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