Fausto Razzi compie novant’anni e per due giorni (19 e 20 maggio) lo si festeggerà al Conservatorio di Roma con concerti di musiche sue e una tavola rotonda. Compositore sempre «di punta» e saggista, avrà una occasione in più per riflettere sulla propria storia e sui destini della musica contemporanea.
In che direzione procede la sua musica, maestro Razzi?
Riguardo le mie scelte di un tempo e intuisco una risposta possibile. Sono uno dei pochi, forse l’unico, tra i compositori della mia generazione che non è andato a Darmstadt a seguire i famosi Ferienkurse. Ed è stato un bene. Ho apprezzato ciò che si proponeva a Darmstadt – grande slancio verso l’innovazione – per rifiutarlo.
Ha mai scritto col metodo del serialismo integrale, che era di casa nelle storiche giornate darmstadtiane?
Una sola volta nei primi anni Sessanta in 4 Invenzioni per 7 strumenti. Ho poi scelto un linguaggio che mi è sembrato più semplice e più aperto. La mia musica ha seguito un procedimento per moduli, ha cercato il senso della continuità in una struttura in cui la successione dei suoni non fosse mai melodica ma sempre frantumata, intervallata da silenzi.
Si può ancora pronunciare la parola avanguardia?
Al di là della parola, penso che si tratti del modo proficuo di operare in musica. Per un avanzamento del linguaggio, per una ricerca che serva anche alla società. L’artista desidera nuove scoperte, desidera qualcosa che magari contraddica il senso comune.
Lei ha lavorato parecchio con le nuove tecnologie.
In Italia sono stato il primo a realizzare una partitura col computer. Tra il ’71 e il ’73: Progetto per una composizione elettronica. Per me, però, il computer è stato sempre un mezzo, non un dispositivo a cui affidare le proprie risorse espressive come se lui facesse tutto da solo. Le nuove tecnologie aprono infinite possibilità di agire nell’arte. Nel mio ultimo lavoro interamente elettronico, Sinfonia del 2009, voglio modificare il singolo suono con minime variazioni e per questo qualcuno lo ha definito minimalista. Non so quanto legittimamente.
Pasolini, Tasso, Michaux e altri. Nomi di scrittori di cui lei ha utilizzato i testi. Ma con Edoardo Sanguineti ha collaborato più a lungo per “Protocolli” del 1989, “Smorfie” del 1997, “Incastro” del 2001 e vari altri lavori. Una sintonia speciale?
Abbiamo condiviso un’idea di teatro – un esempio è Protocolli – in cui si rifiutasse qualsiasi trombonismo dei cantanti, qualsiasi retorica dell’azione scenica. Lo conobbi per caso durante un viaggio in treno, poi amai i suoi scritti, diventammo amici, avevamo affinità di idee politiche (entrambi affezionati al Pci, ndr).
I suoi compositori preferiti.
Monteverdi, Mozart, Varèse.