Cultura

Fattaneh Haj Seyed Javadi, un’educazione sentimentale

Fattaneh Haj Seyed Javadi, un’educazione sentimentale

NARRATIVE L'ultimo romanzo della scrittrice iraniana, «La scelta di Sudabeh» per Brioschi Editore

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 ottobre 2017

Difficile, se non addirittura azzardato, l’accostamento tra un’icona indiscussa della letteratura inglese come Jane Austen e la scrittrice iraniana contemporanea, Fattaneh Haj Seyed Javadi. Ma gli abbinamenti audaci, si sa, spesso trovano riscontri concreti.
Se Austen, nel suo più celebre Orgoglio e Pregiudizio – ma anche in altri suoi romanzi -, riesce a fotografare la società della sua epoca, senza per questo assumere un ruolo sociologico, la medesima impressione, confermata dalla viva voce dell’autrice, si ha nello sfogliare le pagine di La scelta di Sudabeh (Brioschi Editore, pp. 426, euro 18, traduzione di Anna Vanzan). «In molti hanno letto il mio libro come la metafora dell’Iran in evoluzione», dice Javadi, quando la incontriamo durante la tappa milanese della sua tournée in Italia. «Il mio scopo, invece, era quello di raccontare una storia che parlasse di sentimenti. Se ciascuno confidasse la propria vita a qualcun altro, noi autori avremmo materiale per lunghissimo tempo».

NON A CASO, Javadi fa cenno alla sfera emotiva dei suoi personaggi, nella loro vita quotidiana: proprio questo è il focus intorno al quale si costruisce la trama del libro. Potremmo definirlo una metastoria, oltre che un romanzo: innestati uno dentro l’altro, i racconti di due generazioni che si confidano.
Sudabeh, una giovane dell’alta borghesia iraniana contemporanea, è innamorata di un uomo che la sua famiglia – per motivi di censo e livello culturale – non approva. Certa della giustezza della propria decisione, Sudabeh chiede un confronto con la zia, protagonista, a sua volta, di un’esperienza analoga. Da qui, inizia il racconto della seconda storia – quella della zia Mudabeh – dalla quale si torna indietro solo per rari flashback narrativi.
Lo spostamento temporale, come espediente narrativo, consente di dire più cose, di far emergere atteggiamenti che i giovani iraniani di oggi non conoscono più: di certo, questo è uno degli indiscussi meriti letterari dell’autrice.

PROPRIO DALL’ANALISI delle differenze di classe e dell’epopea famigliare, si possono riscontrare ulteriori consonanze tematiche con Jane Austen. La sua penna era inconfondibile, nessuno è mai riuscito a tratteggiare contorni così ben definiti, come quelli della signora Bennet o delle generazioni di donne che si confrontano, nelle storie che ci porge, con libertà sulla riuscita o meno delle proprie vite, e dei propri matrimoni. Allo stesso modo, Fattaneh Javadi raggiunge un equilibrio nella scrittura che ricorda quello della collega inglese: non solo per dovizia di aneddoti e dettagli, e per sobrietà ed equilibrata passione, ma anche per successo di pubblico. La scelta di Sudabeh – il cui titolo originale in farsi riprende un verso del poeta persiano Hafez, in cui viene accostato l’innamoramento all’ubriacatura – aveva già avuto un enorme consenso in Iran, quando venne pubblicato la prima volta, negli anni ‘90. Ben 56 riedizioni dopo, Javadi è una delle scrittrici persiane più lette in patria. In Germania, il libro ha raggiunto la nona edizione, prima di approdare alla categoria «tascabili».

RECENTISSIME, poi, sono le traduzioni turca e greca. «Non pensavo che questo libro avesse così tanto successo – continua Javadi -. Eppure credo sia una dote fortunata quella di riuscire a essere quanto più trasversali possibile, per arrivare a un circuito di lettori e lettrici più ampio. Non mi riferisco solo ai connazionali, parlo anche dell’estero; nel mio caso del pubblico occidentale. Ciò di cui sono certa è che mai avrei voluto strizzare l’occhio a una lettura orientalista, fomentando cliché stantii».
NONOSTANTE la vocazione internazionale del romanzo, e la scelta di temi come la condizione femminile e l’istruzione riservata alle donne in Iran – anche se trattate in maniera indiretta -, Javadi resta molto schiva sulle domande politiche.
Un atteggiamento, per certi versi, comprensibile, considerato che l’Iran è ancora il paese in cui vive. Ma si entusiasma raccontando di Sudabeh e dell’attualità della sua protagonista: «ho scritto di una ragazza come ce ne sono tante, in Iran come in altre parti del mondo. Ma se Sudabeh è davvero un carattere realistico, beh, questo devono dirlo i lettori».

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