«Nessun bambino sarà completamente libero finché i bambini di tutto il mondo, dal Congo alla Palestina, non potranno giocare fuori in pace». È con questo monito, che discende dall’intera analisi svolta nelle pagine precedenti, che si chiude questo libro. È un testo che parla di liberazione – più che di libertà – quello scritto da Fatima Ouassak nel 2022 e proposto in italiano adesso da Tamu edizioni (pp. 178, euro 14). Tradotto in modo molto efficace da Valeria Gennari, con un’intensa prefazione di Valeria Cirillo e Nina Ferrante, Per un’ecologia pirata … e saremo liberi! è un vero e proprio manifesto volto a proporre al movimento per la giustizia ambientale la necessità di mettere al centro della sua azione la rimozione delle gerarchie etnicorazziali, di genere e territoriali, determinanti nelle ingiustizie del mondo e delle città odierne. Fatima Ouassak invita a riposizionare il movimento per la giustizia ambientale, mettendo al centro i quartieri popolari e, dunque, la lotta contro il razzismo, la critica alla storia e all’attualità della colonia, la contrapposizione alle politiche di controllo sociale dei poveri, il conflitto contro la repressione delle migrazioni, il contrasto allo sradicamento imposto alle popolazioni non bianche.

CIÒ CHE L’AUTRICE rivendica è l’affermazione del diritto a respirare e la necessità non rinviabile della lotta alle politiche mortifere delle frontiere: una doppia inscindibile urgenza che nel dibattito internazionale è stata attestata negli ultimi anni, con profondità, dal filosofo Achille Mbembe. Scrive Ouassak: «in generale, l’ecologia politica francese non considera mai l’Africa come uno spazio filosofico, politico e militante da cui partire per poter immaginare un’altra economia, un altro stile di vita, un’altra civiltà, altri rapporti sociali». Così come è dai bisogni e dalle rivendicazioni dei quartieri e delle classi popolari che è necessario muovere per costruire un’alternativa ecologista giusta, che non li escluda o, peggio, che li ignori, nascondendosi dietro al loro presunto disinteresse per la giustizia ambientale.

Da dove trarre memorie e saperi per operare questo cambio tanto politico quanto di prospettiva culturale? Nel testo, in modo molto chiaro, si propone un paragrafo dal titolo programmatico: «Lotte ecologiste di riferimento: Algeria, Plogoff, Palestina». E si propone un esempio presente, la casa dell’ecologia popolare «Verdragon». Come scrive ancora l’autrice: «questo spazio ecologista è unico nel suo genere, gestito in gran parte da donne non bianche, è impregnato della cultura dei quartieri popolari: la figura del grado, i manga, l’immigrazione e così via. La sua funzione non è ovviamente quella di «sensibilizzare»; sono i quartieri popolari a decidere la linea d’azione, il cui obiettivo è cercare di abbattere con urgenza i muri che ci impediscono di combattere il disastro climatico, mettendo insieme i quartieri popolari e quelli residenziali, i bianchi e i non bianchi».

E QUESTO, evidentemente, è un progetto conflittuale, che non piace a tutti, che rivendica una prospettiva di classe intersezionale, a partire dal punto di vista delle donne non bianche delle classi e dei quartieri popolari e delle loro figlie e figli. È una prospettiva che sfida anche la sinistra storica, che in Francia e in Europa è ancora bianca e, spesso, fatta dalla classe media. Giustamente Ouassak analizza che «ciò che la sinistra rifiuta e combatte è l’autonomia politica dei quartieri popolari», ma anche «le alleanze tra i quartieri popolari e i complessi residenziali, tra i non bianchi e i bianchi, tra le classi popolari e le classi medie».

Il libro dialoga molto con la prospettiva proposta, in modo particolare negli ultimi anni, da Jason W. Moore e dalla rete dell’Ecologia-mondo, interessata a costruire un fronte che metta in comunicazione le rivendicazioni eterogenee delle parti dell’umanità e della natura non umana, il cosiddetto biotariato, che non solo soffrono gli effetti del cambiamento climatico, ma sono anche storicamente quell’insieme di soggetti che ha già sperimentato la possibilità di mettere in discussione l’ordine esistente e far saltare le sue gerarchie costitutive. E di costruire, pertanto, un’alternativa all’ecologia-mondo capitalistica e al capitalismo razziale.

Non è un caso, d’altronde, che all’interno del testo si faccia riferimento più volte alla necessità di abbattere i muri, di liberare le migrazioni, costruendo politiche migratorie alternative al pensiero di Stato e alle modalità di governo delle frontiere che negli ultimi trenta anni hanno fatto oltre 50mila morti nel Mar Mediterraneo.