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Fassina: l’errore è la subalternità

Fassina: l’errore è la subalternitàStefano Fassina – LaPresse

Replica ai sindaci L'ex viceministro uscito dai democratici: «Gli appelli vanno bene, ma si rivolgano al premier. È lui che ha rotto». «La destra vince nel vuoto delle alternative. Nuovo partito? Non una federazione»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 10 dicembre 2015

Stefano Fassina, i sindaci Pisapia, Doria e Zedda fanno un appello alla ricostruzione dell’unità del centrosinistra nelle città. Vanno oltre auspicando che l’opposizione al governo Renzi, sia «un momento transitorio». Che ne pensa?

L’appello è sensato, ma il destinatario è Matteo Renzi, che è il responsabile della rottura a sinistra attraverso il Jobs act, la legge sulla scuola, lo Sblocca Italia, la riforma costituzionale, la legge elettorale. E la rottura non è stata tanto nei gruppi dirigenti ma nel popolo del centrosinistra. C’è una parte del popolo democratico che non considera più il Pd un interlocutore per portare avanti una svolta sul terreno economico, sociale e democratico.

Il destinatario però è anche Sel. E il vero oggetto dell’appello sono le elezioni di Milano: a Cagliari la coalizione regge, a Genova non si vota, invece a Milano c’è in corso una discussione difficile.

La discussione di Milano si è complicata da quando il Pd ha messo in campo la candidatura di Giuseppe Sala che, a mio avviso, non sarebbe un interprete dell’esperienza Pisapia. E non perché lo dico io, ma perché farebbe fatica in una parte del popolo del centrosinistra. Ripeto: la rottura è avvenuta nel popolo del centrosinistra, nel popolo democratico, che non aspetterà le indicazioni di Fassina o di altri per decidere che fare. Non si farà orientare dalle scelte del ceto politico. Ha già rotto, è andato nel non voto e nei 5 stelle.

Per lei Sala non interpreta la vicenda Pisapia. Ma se Pisapia dovesse pensarla diversamente?

Se mi si chiede la mia opinione, è che Sala non la interpreta. Ma la scelta spetta agli uomini e alle donne milanesi.

Avete un’alternativa?

L’alternativa c’è sempre. Si può costruire.

Nel Pd in molti definiscono l’appello dei sindaci positivo e saggio.

È saggio, ancora più saggio sarebbe che Renzi rispondesse con atti di radicale discontinuità. Faccio un esempio di queste ore: in commissione bilancio il Pd intende promuovere condizioni per ricostruire il centrosinistra? Accolga l’emendamento che abbiamo proposto per circoscrivere l’eliminazione della tassa sulla casa al 90% delle famiglie e destinare il miliardo e mezzo così recuperato per le politiche sociali dei comuni.

La conseguenza di questo ragionamento è che l’alleanza non si fa da nessuna parte.

Non è vero, i piani vanno tenuti distinti. Il centrosinistra nazionale non è saltato su punti specifici ma su una serie di scelte del governo Renzi. In alcune città però vi possono essere condizioni per portare avanti un programma credibile. Infatti a Cagliari il centrosinistra c’è. A Bologna, a Torino e a Napoli no. Ma non per capricci, per atti o programmi concreti.

La verità è che correte il rischio che alle prossime amministrative la sinistra si spacchi in molte città.

La verità è che una posizione subalterna, di appendice al Pd, potrebbe rasserenare il clima fino alle amministrative, ma determinerebbe poi amarissime conseguenze, risultati anche peggiori. Il nostro progetto – che parte dal gruppo parlamentare di Sinistra italia ma va oltre – ha messo in campo percorsi unitari, al netto di Milano che vedremo come andrà. C’è un punto di fondo: l’unità è importante, ma è importante anche mettere in campo una chiara proposta alternativa, con un segno sociale di uguaglianza, sostenibilità ambientale, lavoro, diritti.

I sindaci dicono: se la sinistra è divisa vince la destra, come in Francia.

La destra vince perché non c’è alternativa all’agenda unica. In Francia la sinistra in questi anni è stata completamente subalterna. Anche in Italia il rischio di far vincere la destra dipende dal fatto che il Pd fa politiche in linea con l’agenda liberista. È il contrario di quello che dicono i tre sindaci: è l’appiattimento sull’agenda liberista che apre praterie alla destra e ai 5 stelle. Solo un programma netto e riconoscibile consente di arginare e intercettare il disagio sociale sempre più diffuso.

Lei si è candidato a Roma. Il presidente Zingaretti fa un appello al centrosinistra. Per lei il centrosinistra romano è una storia chiusa?

A Roma la coalizione è stata rotta a fine luglio dal Pd. La rottura è diventata irreversibile con la decisione di chiudere con Marino dal notaio. La mia candidatura è la conseguenza di queste rotture, non la causa. Ma anche a Roma, basta farsi un giro nei circoli, la rottura è avvenuta dentro il popolo democratico. Questo dato non va rimosso. Gli appelli all’unità sono sempre benvenuti, ma c’è un vizio politicista nella nostra discussione: il Pd che comanda Roma, quello del Nazareno che ha rotto il centrosinistra e mandato a casa Marino, quel Pd è in campo.

Il percorso della forza autonoma di sinistra va avanti?

Certo. Presto partirà la fase costituente per un partito.

Sarà una federazione?

No. Alcuni nostri compagni sono esperti di un’ampia modellistica di forze politiche di sinistra, ma certo non sarà l’incollatura dei cocci degli ultimi vent’anni.

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