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Farsi marea: dai precari della ricerca una lezione di opposizione

Sapienza di Roma, assemblea dei ricercatori precariSapienza di Roma, assemblea dei ricercatori precari – Roberto Ciccarelli /il manifesto

In movimento Quando una mobilitazione può diventare segnalatrice di incendi. Tagli all'università e una riforma che aumenterà il precariato. E nel 2026, con la fine del Pnrr, migliaia di disoccupati tra i ricercatori precari. Alla Sapienza di Roma una assemblea che non si vedeva da anni: "Mobilitiamoci, facciamo convergenza, basta con il carnevale dell'identità"

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 26 ottobre 2024

L’università e la ricerca italiana corrono un pericolo esistenziale. Se si prende sul serio ciò che il governo ha scritto nelle tabelle allegate alla legge di bilancio sui tagli lineari che colpiranno tutti i ministeri, il dicastero attualmente guidato da Anna Maria Bernini perderà altri 701 milioni di euro tra il 2025 e il 2027.

Tagli che si aggiungono a quelli già previsti: 173 milioni al fondo per gli atenei e 340 milioni non assegnati ai fondi previsti dal piano per i docenti associati. In totale, stiamo parlando di 1 miliardo e 200 milioni di tagli potenziali. Peggio di quanto fatto dal governo Berlusconi-Tremonti-Gelmini nel 2008 che stese l’università per il decennio successivo.

Se davvero i tagli lineari ai ministeri ammontano a 7,7 miliardi di euro, e non solo a 1 miliardo e mezzo com’è scritto in un’altra parte della manovra, allora si può comprendere qual è il pericolo. Gli atenei medi e piccoli del centro-sud rischierebbero la chiusura oppure un aumento record delle tasse agli studenti. Così si spiega anche la reazione della presidente dei rettori Crui Giovanna Iannantuoni: «Ci confronteremo con il governo sui tagli all’università» ha detto. Nel linguaggio paludato dimostra che qualche preoccupazione c’è.

Per vedere concretamente le conseguenze dei tagli già previsti e immaginare gli effetti di quelli futuri, bisognava ascoltare ieri le centinaia di precari e precarie della ricerca alla Sapienza da Roma. Saranno loro le prime vittime dei tagli. Loro che tengono in piedi una fabbrica dello sfruttamento. Beatificati quando vincono i bandi milionari dello European Research Council, infantilizzati quando chiedono diritti in un mondo dove l’«eccellenza» è sinonimo di servaggio.

Molti di loro «scadranno» con la fine del Piano nazionale di ripresa e resilienza nel 2026. Finiranno disoccupati e saranno costretti al lavoro gratuito volontario o a diventare uno degli strumenti che la ministra Bernini sta predisponendo nella sua “cassetta degli attrezzi” che contiene sei nuovi contratti precari. Sempre di meno, e pagati peggio, con i tagli in arrivo. Una metafora del paese, più ampia del lavoro culturale che da sempre è all’avanguardia dell’autosfruttamento.

Ascoltando questi precari della ricerca tornava in mente una delle espressioni folgoranti di Walter Benjamin che ha parlato di «segnalatore di incendio». Il filosofo avvertiva i suoi contemporanei sui pericoli imminenti: ecco cosa rischia di succedere se… Nei discorsi dei precari, tutt’altro che messianici, l’incendio segnalato riguarda l’immediato ma anche il futuro. Ma soprattutto, ed è questa la sensazione da condividere, in quelle parole non si è avvertito solo il pericolo, innanzitutto personale ma evidentemente generale. C’era anche una potenza che talvolta abbiamo visto emergere da questi mondi. A cominciare dalla Sapienza, in anni passati che abbiamo raccontato su questo giornale. Nel furore, come nella sconfitta.

L’invito è stato rivolto a chi oggi si sta mobilitando contro un governo tragico, per di più preso nella tagliola della nuova austerità. Nell’assemblea alla Sapienza è stato detto: «Basta con il carnevale delle identità», cioè ogni manifestazione per affermare la propria identità di gruppo.

Non basta restare sul piano della vertenza, bisogna fare «convergenza». Come accadde con l’Onda tra il 2008 e il 2010, un movimento che partì dalle scuole elementari e diventò generale. Lezioni in piazza, scioperi da inventare. «Non viviamo in tempi normali, bisogna fare vedere concretamente che c’è un’emergenza».

E ancora: «Ci vorrebbe una mobilitazione che sospende i confini tra sociale, politica e sindacale, o tra strutture e identità». Così le vertenze di ciascuno possono sperare almeno di essere ascoltate. Nel caso di questi precari, una generalizzazione delle lotte per finanziare la ricerca e, magari, cambiare le vite sospese di diverse decine di migliaia di persone.

Non accade più da molto tempo e assai raramente i risultati sono stati all’altezza delle aspettative. Ci si può riprovare. Bisogna farsi prima «marea» per spegnere l’incendio e poi accendere i fuochi che scaldano il corpo e la mente.

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