«Inutili gli screening di massa». Fare il test a chi è più esposto
Intervista Parla Stefano Vella. L'esperienza con altre epidemia insegna che testare tutti non serve. Concentrarsi su medici e lavoratori più esposti. Le risorse per farne di più ci sono.
Intervista Parla Stefano Vella. L'esperienza con altre epidemia insegna che testare tutti non serve. Concentrarsi su medici e lavoratori più esposti. Le risorse per farne di più ci sono.
Il 16 marzo, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus ha invitato i governi di tutto il mondo a fare più tamponi: «test, test, test!», ha esortato. Si riferiva a tutti i pazienti sintomatici e anche alle persone entrate in contatto con loro nonostante non abbiano sintomi. Eppure le linee-guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e quelle del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie dicono altro: sottoporre a test solo chi ha sintomi evidenti di COVID-19. Così oggi hanno tutti ragione: sia chi sostiene che i diciassettemila test quotidiani sono sufficienti, sia chi pensa che siano pochi. Per capire se si fa abbastanza o troppo poco bisogna rivolgersi a esperti come Stefano Vella, oggi docente all’università Cattolica. Vella è uno dei massimi esperti di malattie infettive. Da ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità ha diretto la battaglia italiana contro un altro virus pandemico, l’Hiv.
Professore, cosa significa «fare più tamponi»? Fare tamponi su tutta la popolazione?
Come per tutte le epidemie, gli screening di massa sono sempre stati inutili. Anche per l’Aids ci fu un’ondata di richieste di questo tipo, ma poi capimmo che non serviva. Ci sono dei livelli di priorità. Il test va fatto ai casi sintomatici, anche se i sintomi sono simili a quelli dell’influenza. Poi bisogna farlo ai contatti asintomatici, che forse svilupperanno la malattia e forse no ma che possono trasmetterla.
Anche le persone asintomatiche possono essere contagiose?
Sì, magari anche solo per il giorno precedente alla comparsa dei sintomi. E poi molti di loro non sviluppano i sintomi. Questo virus ha un comportamento strano ed è qualcosa che dobbiamo ancora capire: il sistema immunitario di alcune persone reagisce male contro questo virus. È anomalo per una malattia virale. Altre, come l’influenza o il morbillo, hanno un decorso molto più regolare e uniforme nei pazienti. Il coronavirus no. Potrebbe dipendere dalla carica virale, o da fattori genetici, o dalla quantità di recettori sulle cellule.
Continuiamo con le priorità per i test.
Ovviamente bisogna fare il test a chi è più esposto. In primis gli operatori sanitari, tra cui abbiamo visto una prevalenza molto alta della malattia. Poi è il caso di estenderlo progressivamente a chi ha un’alta probabilità di essere contagiato per ragioni professionali, come trasportatori o cassieri dei supermercati, che lavorano in ambienti chiusi e a contatto con tante persone. Ci permetterebbe anche di capire quanto si è diffuso il virus nella popolazione. Ma questo si può fare a campione.
A cosa serve fare il test alle persone asintomatiche, se poi tanto rimangono a casa come tutti per via delle ordinanze?
Se una persona sa di essere positiva sta più attenta anche a casa. Un gran numero di contagi avvengono all’interno delle mura domestiche. Se una persona è positiva prende precauzioni: si mette i guanti e la mascherina. Se può, trova un altro domicilio.
In Lombardia i test danno il 60% di risultati positivi. In Veneto il 10%. Significa che si stanno seguendo criteri diversi?
No, è che in Lombardia le persone positive sono veramente molte. Ma non credo si seguano metodi diversi. Le regioni Lombardia e Veneto si parlano e condividono le strategie.
Potrebbe darsi che la Lombardia abbia raggiunto la massima capacità di eseguire i test. Farne di più costa troppo, o servono particolari competenze?
Il test ha un costo ma quello non dovrebbe essere un problema, viste le cifre mobilitate dal governo. E non è difficile fare il test: si inserisce il campione in una macchina (il “termociclatore” per effettuare la PCR, ndr) e si ottiene il risultato. Certo, l’operatore deve saper prelevare il tampone e maneggiare attentamente il campione. Ma la parte di laboratorio è alla portata di qualunque tecnico, e ne abbiamo a migliaia.
In questo caso, si potrebbe aumentare il numero di laboratori in cui si effettua il test?
Si potrebbe fare, anche se poi tutti i test devono essere valutati dall’Istituto Superiore di Sanità. Il comitato tecnico scientifico ha raccomandato di allargare la rete dei i laboratori autorizzati. Questo significa che ha intenzione di aumentare il numero dei test.
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