Visioni

Fantastic Negrito, ritratto in bianco e nero dal profondo Sud

Fantastic Negrito, ritratto in bianco e nero dal profondo SudFantastic Negrito in una sua performance al Love Rocks di New York City, 3 giugno 2021 – foto di Charles Sykes/Invision/Ap

Incontri Il cantautore e chitarrista racconta il disco nato durante il lockdown: «White Jesus Black Problems». «Se sono quello che sono lo devo ai miei avi, Courage e Betty e la loro grande capacità di combattere coraggiosamente per l’autodeterminazione»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 13 maggio 2022

«Avevo idea di realizzare un disco con importanti collaborazioni. La prima di queste riguardava Sting. Abbiamo preso accordi e ci siamo visti in studio, dove abbiamo registrato brani molto, molto soddisfacenti. Due giorni dopo il lockdown dettato dal Covid 19, ha segnato la fine del progetto che avevo in mente. Tutto questo è il prologo che ha portato a White Jesus Black Problems, il mio nuovo visual album». Così Xavier Dphrepaulezz, il cantautore e chitarrista americano meglio noto come Fantastic Negrito, introduce l’arrivo del suo quarto lavoro da studio previsto per il prossimo 3 giugno. Si tratta di tredici pezzi in cui, ancor più che in passato, i contenuti narrati dall’autore sia in forma musicale che testuale, sono allo stesso momento carichi di significato ed estremamente fruibili. Fantastic Negrito espande ancor più il processo creativo sia in termini qualitativi che comunicativi.

IL RACCONTO dettagliato della nascita del disco, risulta al contempo utile e stimolante per la comprensione dell’intera sessione di registrazione: «Come ogni artista per un anno sono rimasto fermo, non ho potuto pianificare alcuna data. Zero concerti. Ho pensato quindi che fosse giunto il momento di attivarmi, così ho deciso di aprire la mia etichetta discografica Storefront Records. Nello stesso periodo ho ricevuto la telefonata di un amico, il rapper E-40, con il quale avevo lavorato in passato per il rifacimento del suo singolo Searching For A Captain Save A Hoe. E-40 mi ha invitato ad Atlanta, Georgia, per far parte della serie tv Black Lightning, nell’episodio Painkiller. Mentre ero rinchiuso in hotel a causa delle misure anti-covid, ho ricevuto un messaggio social da una donna che si è qualificata come mia cugina per via del cognome in comune. È una cosa che accade spesso, ma dato che avevo tempo a disposizione, iniziai a fare ricerche sul mio cognome e con enorme sorpresa, dopo aver indagato, la rivelazione: era falso. Totalmente inventato da mio padre. Rimasi sbalordito! Da questo episodio, dopo aver parlato con mio fratello che è uno storico, sono risalito alle origini della famiglia fino a scoprire che tutto arriva da una storia d’amore del 1759, sette generazioni prima di me, protagonisti una donna bianca scozzese di nome Elizabeth Gallimore, e uno schiavo afroamericano chiamato Courage. Per certi versi, sono stati come Romeo e Giulietta».

LA RELAZIONE tra i due diventa così la spina dorsale dell’intero disco. L’amore fra i (quasi) novelli Montecchi e Capuleti, viene raccontato nel brano che apre il disco Venomous Dogma in forma di pop etereo e trasognato ad emblema della loro gioia, per poi scivolare in un torrido e doloroso blues che ne illustra il passaggio alla prigionia. La dicotomia emotiva su cui l’autore costruisce la canzone, è un marchio di fabbrica che in una traccia successiva, White Jesus Black Problems, trova il suo vertice.
Non solo negli arrangiamenti: si ascolti in tal senso la meravigliosa Oh Betty dove l’avo Courage tratto in schiavitù, lavora duramente consapevole che un giorno riuscirà a congiungersi con l’adorata Betty, ma anche negli aspetti visuali dell’album. Di cui Dphrepaulezz, che ha previsto un video per ogni singola canzone, si è occupato integralmente: «Ho curato ogni aspetto del progetto, dalla scelta dei costumi fino ai luoghi di scena. E la contrapposizione tra bianco e nero è una parte rilevante della narrazione».
Anche la scrittura musicale insiste in eguale direzione, come si evince chiaramente nel singolo Highest Bidder dove un aspetto esteriore molto funk cela sotto di sé uno spiritual a dir poco ancestrale. Non è da meno Man Without Name, pastiche sonoro in cui soul, spoken word e passaggi psichedelici concorrono alla stesura di un inno libertario autobiografico. E mentre il pop folk apparentemente solare di You Better Have A Gone affronta in modo intelligente la questione tutta statunitense delle armi, in Virginia Soil chiude il suo percorso identitario: «Con un test del Dna ho scoperto di essere bianco al ventisette per cento. Significa che se sono quel che sono devo ringraziare tutti i miei antenati, neri e bianchi, a cominciare da Betty e Courage e la loro capacità di combattere coraggiosamente per l’autodeterminazione».

Ho curato ogni aspetto del progetto, dalla scelta dei costumi fino ai luoghi di scena. E la contrapposizione tra bianco e nero è una parte rilevante della narrazione

COME SINGOLO buono anche per le dancehall notturne si è scelta la hit Trudoo, che persegue nella regola aurea che tanto i blues di allora che quelli attuali sono canzoni buone anche per il miglior intrattenimento migliore. Dphrepaulezz non smette neppure per un istante di parlare di oppressione razziale, di White Supremacy e di disumanizzazione. Lo fa ispirandosi chiaramente a quanto ha metabolizzato dei suoi ascolti dei 70 e 80, si ascolti In My Head dove sembra di vedere uno stralunato Zappa incontrare le dinamiche di Prince, suo idolo giovanile. Prosegue in questa direzione con l’inciso Register Of Free Negroes: «Sono rimasto sorpreso quando ho rintracciato i miei familiari di tanti anni fa all’interno di vecchi registri che ne certificavano lo stato di libertà nella Virginia di allora. Ero solo, chiuso nella stanza di un hote, pensando a una Virginia dove si poteva non essere in catene». E non tralascia la quotidianità e il suo territorio, quella Oakland in cui vive e dove hanno sede il negozio di dischi e la label che gestisce, a cui dedica la ipnotica e schietta Mayor Of Wastland, in cui la voce e gli insegnamenti di Ron Finley, guru della guerrilla gardening, mettono assieme il riscatto della terra e la militanza pragmatica del movimento Black Lives Matter.

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