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Fantasmi e concetti secondo Thomas Hobbes

Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 23 febbraio 2018

Nella prima parte del De corpore (1655), nel terzo capitolo, Thomas Hobbes, come scrive Ernst Cassirer, sostiene che «la verità non inerisce alle cose, ma ai nomi e al rapporto dei nomi, che si compie nella proposizione: ‘veritas in dicto, non in re consistit’».

E nel convincimento espresso da Hobbes, puntualizza Cassirer, la filosofia, rinnegata la connessione coi principi della scienza sperimentale, «deve consistere in null’altro se non nella dottrina dell’esatto collegamento dei segni, creati dal nostro pensiero».

Si presta bene, questa considerazione di Cassirer, a orientare la lettura delle pagine della quarta parte del Leviathan (1651) ove si tratta Del regno delle tenebre.

Tenebre spirituali derivanti da errate interpretazioni della Scrittura, dai residui della religione pagana nonché dal ricorso agli insegnamenti di filosofie «vane» così come dalla recezione passiva di «favolose tradizioni». Oscurità spirituali e ignoranze che, mentre recano danno a molti, portano ad altri considerevoli benefici.

Al vero, o al falso, della parola (dictus) consegue il bene, o il male, della cosa (res). Perché i segni creati dal nostro pensiero conformano la relazione politica, ovvero agiscono il legame civile effettivo.

Argomenta Hobbes: «Il nemico è stato qui nella notte della nostra ignoranza spirituale e ha seminato il loglio degli errori spirituali; e ciò, in primo luogo, abusando e spegnendo la luce delle Scritture, perché noi erriamo per non conoscere le Scritture. In secondo luogo, introducendo la demonologia dei poeti pagani, vale a dire, la loro favolosa dottrina concernente i demoni, i quali non sono che idoli o fantasmi del cervello, senza alcuna natura reale propria, distinta dalla fantasia umana; tali sono gli spettri dei morti, le fate e altra materia da storie di vecchie donne. In terzo luogo, mischiando con la Scrittura diversi resti della religione e molto della vana ed erronea filosofia dei Greci, specialmente di Aristotele. In quarto luogo, mescolando con queste due, tradizioni false e incerte e storie finte o incerte».

Il nemico che diffonde e fa durare tanta inettitudine e ottusità tra gli uomini è il principe del potere dell’aria, come si legge nella lettera di Paolo agli Efesini (II, 2 e VI, 12). Ed è nell’aria che si producono le visioni.

Attraverso l’aria, dice Hobbes, procede una immaginazione dell’oggetto: «tale immaginazione è chiamata vista e non sembra essere una mera immaginazione, ma il corpo stesso fuori di noi».

Si stabilisce, potremmo dire, una dinamica aerea che, una volta avviata in un giuoco di riflessi, rifrazioni e riverberi, permane, resta nell’apparenza intatta allorché i corpi opachi o lucidi o diafani, pur rimossi, continuano tuttavia il loro movimento in noi inducendo, scrive Hobbes, «ciò che chiamiamo immaginazione e memoria e sogno».

E aggiunge: «apparenze che rimangono nel cervello per l’impressione dei corpi esterni sugli organi dei sensi, e che sono chiamate comunemente idee, idoli, fantasmi, concetti, in quanto sono rappresentazioni di quei corpi esterni che le causano e non hanno realtà più di quanto ne abbiano le cose che abbiamo di fronte in un sogno».

Seguendo Hobbes nel suo ragionamento sulle immagini riceviamo più di un insegnamento.

Intanto, che la vacuità, l’illusione, il segno (idee, idoli, fantasmi, concetti) assumono permanenza e consistenza e senso nel mondo degli uomini, costituiscono una essenziale condizione della relazione sociale e civile che va conosciuta. Tanto illusoria quanto perentoria per influenza e rilevanza. Una incidenza sempre nuova per l’opera assidua che il principe dell’aria è in grado di esercitare, possiamo dire, su ogni nostro inconsapevole sguardo.

Nel proponimento di Hobbes c’è, al riguardo delle immagini, una verità che richiede d’esser rivelata, da pronunciare.

Verità che si elabora e si afferma in dicto, affidata ad una perspicua e congrua combinazione di segni –nomi e rapporti tra nomi – creati dal nostro pensiero nella parola delle Scritture.

E per questa via Hobbes invita ad una riflessione sulla caratura fantasmatica che informa idee e concetti.

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