In seguito alla decisione dei vertici della Repubblica islamica di rallentate (ma non bloccare) Internet, sono sempre meno i video delle proteste iraniane postati sui social media. Mentre nelle città europee i manifestanti scendono in piazza per dimostrare solidarietà, martedì sera a Teheran i servizi di sicurezza hanno fermato Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia dell’ex presidente Rafsanjani. Il motivo dell’arresto è il suo sostegno alle ondate di proteste nella capitale: ha cercato di motivare le donne a partecipare, una presa di posizione che in Iran è reato. Sessant’anni, membro della nomenclatura ma anche attivista, Faezeh Hashemi è stata deputata, giornalista e simbolo dell’emancipazione femminile in Iran: ha sempre espresso la sua contrarietà all’obbligo di portare il velo, anche se lei stessa indossa il chador nero, quello di ordinanza per le donne del suo ambiente famigliare e politico.

ENTRATA GIOVANISSIMA sulla scena pubblica per favorire l’accesso delle iraniane nel mondo dello sport, nel 1993 le prime Olimpiadi femminili islamiche si svolgono a Teheran sotto il suo patrocinio. Nel marzo del 1996 gli iraniani vanno a votare per eleggere i 290 deputati del parlamento. Faezeh Hashemi è figlia del presidente in carica. Si aggiudica il secondo posto e viene eletta per un mandato di quattro anni. In occasione della campagna elettorale per le presidenziali del 1997 prende le parti del riformatore Khatami che vincerà grazie al voto delle donne e dei giovani: sarà la «primavera di Teheran» segnata da un’apertura culturale ma anche da una serie di omicidi di intellettuali e da violazioni dei diritti umani.

NEL 1998 Faezeh Hashemi dà avvio alla rivista femminile Zan, in persiano vuol dire donna. Ma un anno dopo è obbligata a chiudere per aver pubblicato gli auguri dell’ex imperatrice Farah Diba per Nowruz (il capodanno persiano) e una vignetta satirica sui diritti negati alle donne. Nel 2000 non viene rieletta in parlamento, va in Inghilterra, gira per Londra senza velo e, per questo, suo padre viene criticato. Nel 2009 gli iraniani tornano alle urne. In quel voto segnato da violenza e brogli, l’ultraconservatore Ahmadinejad viene confermato per un secondo mandato. Faezeh Hashemi sta dalla parte del movimento verde di opposizione e tiene un comizio non autorizzato. Viene arrestata due volte e trattenuta per qualche giorno insieme a quattro famigliari.

RAFSANJANI ha una sorella, Fatemeh, anche lei impegnata sul fronte delle battaglie di genere. I fratelli sono tre: ingegnere, Mohsen è politico e docente; Mehdi è un imprenditore ed è soprannominato Aghazadeh, ovvero un figlio di papà che ha avuto successo grazie alla corruzione e al nepotismo; a Lavasan, la «Beverly Hills iraniana», Yasser alleva cavalli nella sua fattoria il cui valore nel 2003 era stimato in 120 milioni di dollari. In questi anni Faezeh Hashemi è stata arrestata tante volte e le viene fatto divieto di lasciare l’Iran. Quanto pesa avere un padre potente? Viene da pensare che colpire la figlia sia un modo per colpire il genitore. Ma l’accanimento contro di lei non finisce con la morte dell’ex presidente.

L’11 MAGGIO di quest’anno, Faezeh Hashemi si è dovuta presentare davanti al giudice per una barzelletta sul Profeta Maometto e sulla sua prima moglie, Khadija. Secondo quanto detto da Faezeh Hashemi, la prima moglie del Profeta era un’imprenditrice e lui spendeva i soldi di lei. «Non voleva essere un insulto», si è difesa. La barzelletta non è però piaciuta e 55mila iraniani hanno firmato una petizione per portarla a processo. Se l’11 maggio Rafsanjani si è dovuta presentare davanti al giudice è anche per un altro motivo: in occasione di una conferenza trasmessa ad aprile sui social media disse che «non è opportuno insistere affinché gli Stati uniti tolgano i pasdaran dall’elenco delle organizzazioni terroristiche. Insistere, equivale a danneggiare gli interessi dell’Iran perché questa richiesta è diventato l’ostacolo maggiore alla ripresa dell’accordo nucleare». Queste due dichiarazioni, su Maometto e sui pasdaran, le sono costate la condanna per «propaganda contro lo stato» e «blasfemia». Condanna pronunciata lo scorso 3 luglio.