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Fadoi: «In pochi giorni, 3% di ricoveri in più. Siamo preoccupati»

Fadoi: «In pochi giorni, 3% di ricoveri in più. Siamo preoccupati»Reparto Covid al Policlinico di Tor Vergata – Ap

Intervista Parla Dario Manfellotto, presidente della Federazione Associazioni dirigenti ospedalieri internisti. «Non tutte le Regioni hanno ancora attivato un piano per stabilire con precisione il numero di posti letto, Covid e non, di ciascun ospedale, anche in caso di warning. Serve un comando centrale». Allarme della Fadoi: «In un anno sono stati assistiti quasi 700 mila malati di altre patologie in meno»

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 14 gennaio 2021

«Non chiamiamola prima, seconda o terza ondata, non aiuta a capire. L’emergenza non è mai finita. E in questi ultimi giorni, dall’inizio del 2021, stiamo assistendo ad un nuovo aumento dei ricoveri per Covid, del 3%». A lanciare l’allarme è il presidente della Fadoi (Federazione Associazioni dirigenti ospedalieri internisti), Dario Manfellotto, direttore del Dipartimento di Medicina interna al Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, a Roma.

Dario Manfellotto, presidente della Fadoi

Anche il ministro Speranza ha riferito in Parlamento che l’epidemia è di nuovo in espansione.

Ecco, mi fa piacere che il nostro punto di vista concordi con quello del ministro. In realtà l’infezione non è mai scemata da un anno, purtroppo c’è un continuum di questa malattia. I parametri seguiti dal ministero non sono disponibili a tutti, noi non li abbiamo, ma poiché come medici internisti ospedalieri seguiamo il 75% dei malati Covid ricoverati, da un anno abbiamo il polso della situazione. E sappiamo che, mentre nelle ultime settimane dell’anno c’era stato un alleggerimento della pressione sulle corsie, ora, dall’inizio dell’anno, stiamo vedendo un nuovo aumento dei ricoveri per Covid, e crediamo che i numeri siano destinati a crescere. I nostri sensori, attivi anche nella periferia del Paese, i 9 mila internisti degli ospedali italiani, vedono nelle proprie realtà territoriali una situazione allarmante.

Qualcosa che non è sotto gli occhi di tutti?

La Fadoi ha già segnalato come l’occupazione dei posti letto due mesi fa era sottostimata rispetto alla realtà: il numero dei pazienti ricoverati era superiore ai posti letto dell’area medica degli ospedali italiani, e il tasso di occupazione superava il 100%. Perché, nell’economia generale della medicina interna dei 1.137 ospedali italiani, bisogna calcolare che alla percentuale di ricoveri nei reparti Covid, registrata nei rapporti di Agenas e Protezione civile, va sommata la piena occupazione dei posti letto già raggiunta nei reparti di medicina interna.

Ieri in 10 regioni era stata superata la soglia di allerta – il 30% – della disponibilità dei posti in terapia intensiva occupati da malati Covid: la Lombardia è al 38% e addirittura Trento raggiunge il 48%. Avete lo stesso riscontro?

Sì, in effetti ci sono 2636 ricoverati Covid nelle terapie intensive di tutta Italia, che contano circa 8/9 mila posti. Parlando dell’area medica, invece, il limite è fissato al 40%. E infatti ci sono 26348 pazienti Covid ricoverati in area non critica, su 30 mila posti letto. Ecco perché, quando due mesi fa i rapporti ufficiali davano per superata quella soglia, con 40 mila o più ricoverati, noi abbiamo spiegato che il reale tasso di occupazione era del 140%.

Ora come è la situazione?
Dopo qualche settimana di rallentamento, c’è di nuovo un trend a salire che mi preoccupa. Ecco perché diciamo che bisogna continuare a stare molto attenti.

E cosa sta succedendo ai malati di altre patologie? Molte persone rinunciano alle cure?

Sì, molti rinunciano e molte persone non le possiamo trattare. Facendo una stima approssimativa, pensiamo che siano circa 700 mila i pazienti che mancano all’appello. Nel 2018 infatti erano stati 995.951 i ricoveri nei reparti di Medicina interna, di cui il 56% erano pazienti cronici. Anche se manca il numero complessivo dei malati Covid finora ricoverati da inizio pandemia, sappiamo che l’indicatore dei ricoverati è intorno al 5%. Da questo tipo di stime, e sapendo che da fine febbraio a metà dicembre solo un terzo dei letti di medicina interna sono stati disponibili per pazienti non Covid, abbiamo capito che sono state assistite circa 700 mila persone in meno, il 56% dei quali malati cronici. Alcuni saranno morti, altri si saranno ammalati con il Coronavirus, altri avranno rinunciato a curarsi.

Cosa è stato fatto negli ospedali per prepararsi meglio alla “ricaduta” di ottobre?

Ho sempre proposto il modello ospedaliero «a fisarmonica», che si allarga e si restringe a seconda delle necessità. Necessario da adesso in poi. Purtroppo negli anni passati si è drasticamente ridotto il numero di posti letto ospedalieri, sostenendo di voler rafforzare la «medicina territoriale». Ma in realtà, non è andata così. Adesso tutte le Regioni dovrebbero attivare  un piano che stabilisca minuziosamente il numero di posti letto, Covid e non, di ciascun ospedale. Con una proiezione nel caso di aumento del contagio. Il Lazio ha attivato questo piano e noi ci stiamo adattando. Purtroppo altre Regioni non l’hanno ancora fatto.

Il Lazio invece è stato tempestivo? Non sembrerebbe…

Qui c’è stato un leggero ritardo ma poi la questione è stata affrontata. Il problema è che secondo me, in una situazione come questa, le Regioni dovrebbero essere indirizzate da un’unica autorità centrale, che non può essere un commissario.

Le novità contenute nel Recovery plan la soddisfano?

Mi fa piacere vedere che finalmente si parli anche dei reparti di medicina interna, prevedendo ammodernamento delle strutture e delle tecnologie, e aumento del personale. Perché in questo anno abbiamo fatto fronte all’emergenza, quasi raddoppiando i carichi di lavoro, con lo stesso personale di prima.

Quale è il grado di adesione alla campagna vaccinale dei medici internisti ospedalieri?

Il 100%.

Dovrebbe essere d’obbligo secondo lei?
Non sono favorevole, in questo momento, per questa pandemia. Però credo che gli operatori sanitari che non vogliono vaccinarsi non possano stare in corsia.

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