Fabrizio Poggi, medicina armonica
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Fabrizio Poggi, medicina armonica

Book Note Fabrizio Poggi non pensava di diventare uno dei migliori armonicisti blues in circolazione, e non certo per virtuosismo trascendentale, velocità radiante, capacità polmonari da Hulk: una serie di circostanze nella vita lo hanno condotto, passo dopo passo, a diventare tale
Pubblicato circa un mese faEdizione del 12 ottobre 2024

Il grande antropologo Jean-Loup Amselle ha più volte sottolineato che la via migliore per cogliere l’autenticità è la mediazione, il gioco degli incontri, l’ibridazione. Nessun tratto culturale risiede nel DNA, checché ne pensino e si inventino le destre di ogni latitudine. Homo Sapiens invece apprende le cose, se messo in un laboratorio di apprendimento adeguato e fruttuoso, le sfumature di colore dell’epidermide o il punto del pianeta dove gli è capitato di nascere diventano davvero tali: sfumature di colore, e punti geografici. Prendete una musica come il jazz, o il blues: nessun nero di ascendenza afroamericana prende in mano un sax e sa suonarlo «perché ce l’ha nel sangue», o sa ballare perché gli viene «naturale», ma perché è cresciuto in un ambito di stimoli che gli hanno facilitato l’apprendimento.

Fabrizio Poggi, ad esempio, non pensava di diventare uno dei migliori armonicisti blues in circolazione, e non certo per virtuosismo trascendentale, velocità radiante, capacità polmonari da Hulk: una serie di circostanze nella vita lo hanno condotto, passo dopo passo, a diventare tale. Ha avuto determinazione, costanza, voglia di farcela con quella musica ispida e commovente assieme che un giorno gli ha toccato l’anima, ha dovuto combattere con i demoni della depressione, avendo però accanto una donna indomita e positiva, Angelina. A un certo punto ha perfino lasciato il blues, diventando, con i Turututela, un favoloso divulgatore delle culture folk settentrionali, con la sua armonica affrontata con tutt’altre tecniche. Non ha avuto fortuna, ma stima e rispetto.

Poi ce l’ha fatta, col blues, che è una passione, ma anche una medicina, dice lui: suonando con i Blind Boys of Alabama, con Flaco Jimenez, con Eric Bibb, con Garth Hudson della Band che accompagnava Bob Dylan, con Ronnie Earl, stringendo un sodalizio di fiamma col bluesman newyorkese Guy Davis. Un culmine nel ritrovarsi al Madison Square Garden candidato ai Grammy per il «Best traditional album»: sfidando i Rolling Stones, che alle fonti del blues s’erano abbeverati sessant’anni fa. Believe/Conversazioni con Fabrizio Poggi (Arcana), scritto con sostanziosa leggerezza dalla giornalista Serena Simula ricostruisce questa vita d’arte e di blues avventurosa, ma esposta con un understatement delizioso da Fabrizio stesso e a volte da Angelina, sempre presente negli snodi cruciali. Bella storia, bel blues.

 

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