La rappresentazione dell’acqua è come una disciplina olimpica nella quale gareggiano arti visive, letterarie e musicali. Si tenderebbe a dare queste ultime per perdenti in virtù della loro famigerata astrattezza, eppure sin dall’epoca barocca i compositori si sono impegnati a dimostrare il contrario traducendo in suono il soggetto naturalistico: se Händel e Telemann si erano concentrati sulle analogie ritmiche tra note e gocce d’acqua, e Liszt aveva reso le profondità marine muovendosi tra i registri, da Debussy a John Luther Adams si sarebbero escogitati dispositivi di matrice più squisitamente timbrica.

CONFRONTANDOSI con siffatti precedenti Fabrizio Paterlini ripropone il tema nel suo ultimo album Riverscape (Memory Recordings/Believe), occasione per ripensare — e magari aggiornare — un topos che i dibattiti ambientalisti e post pandemici hanno da tempo riportato in auge anche tra le arti. Dopo gli ep dello scorso anno dedicati a ognuno dei quattro elementi, il pianista e compositore mantovano si concentra sull’acqua partendo da un apparente concordato tra musica e fotografia. Paterlini dichiara infatti di essere stato ispirato da Kristel Schneider, fotografa olandese che gli ha suggerito una sorta di colonna sonora a partire dai suoi scatti lungo l’Allier, fiume francese che sorge dal Massiccio Centrale.
«Quello che Kristel allora non sapeva — racconta il musicista — è che attualmente abito vicino al Po e mi ritrovo spesso, da solo o insieme alla mia famiglia, a camminare sulle sue sponde. Lungi dall’essere una fonte di ispirazione “sconosciuta” è al contrario un luogo familiare: ne conosco le lingue, ne riconosco l’odore». Non ci si può bagnare la stessa volta in due fiumi diversi, e così da affluente della Loira l’Allier finisce per riversarsi nel Po, disperdendo le sue immagini originali tra i vortici dello streaming: fruita attraverso il canale digitale la musica resta sola, e il compositore si ritrova a dover rinnovare — nell’impossibilità di evitarli del tutto — gli artifici retorici necessari a rendere sonora la tattilità dell’elemento idrico, così laboriosamente codificati ad opera dei suoi illustri predecessori. Dopo gli ep dello scorso anno dedicati a ognuno dei quattro elementi, il pianista e compositore mantovano si concentra sull’acqua partendo da un apparente concordato tra musica e fotografia.

AD APPARIRE inderogabili sono soprattutto certe onomatopee pianistiche come gli arpeggi nel registro medio-alto di cui abbondano pezzi come la title track o Misty Dawn On The River. D’altro canto, l’autore si rivolge di buon grado ai timbri elettronici per rievocare dell’acqua l’aspetto romantico e simbolico, come già dal titolo dimostrano Droning Down The River e Water Has Memories. Trasversale rispetto alle norme dell’ambient, del minimalismo e della New Age, il suo lavoro si pone al bivio tra innovazione e tradizione, su coordinate rese ancor più localizzabili dalla classicità del soggetto. Da lì, ci parla in definitiva del difficile status della multimedialità nell’arte attuale e della necessità di riformulare le questioni sulla capacità semantica di certi linguaggi musicali. Discorsi che non sono ancora «acqua passata».