Visioni

Fabrizio Ottaviucci sulla porta dell’infinito

Fabrizio Ottaviucci sulla porta dell’infinitoFabrizio Ottaviucci

Contemporanea Il compositore e interprete sceglie pagine di Scelsi per il suo concerto della stagione 2018 dell'associazione culturale Dello Scompiglio

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 20 novembre 2018
Nazim ComunaleVORNO (LUCCA)

Della morte e del morire: questo il titolo della stagione (da settembre 2018 a dicembre 2019 ) dell’associazione culturale Dello Scompiglio, negli spazi dell’omonima tenuta a Vorno, sulle colline lucchesi. Una rassegna che indaga le molteplici facce di questo grande rimosso del nostro tempo affannato e comprende i vincitori del bando internazionale rivolto ad artisti di ogni genere e provenienza ( più di cinquecento i progetti partecipi ) oltre a produzioni ospiti ed originali. Densa e rarefatta, capace di delineare ombre ed evocare fantasmatiche presenze, la proposta al pianoforte di Fabrizio Ottaviucci su Scelsi: in alcuni frangenti pare quasi di vedere approssimarsi la morte di cui il compositore aveva esattamente predetto l’arrivo: «Me ne andrò da questa terrà quando il segno dell’infinito si metterà in fila», ed in effetti la notte dell’8 agosto 1988 il musicista entrò in coma, per poi spegnersi il mattino dopo.

DUNQUE il nome scelto per il recital è 8-8-88 la porta dell’infinito,che si apre lasciandosi spaesati e muti davanti alla bellezza sottile e monumentale di Suite IX Ttai e Suite X Ka, composizioni datate 1953 e 1954, animate da un sentimento di indefinibile presagio. Con Maderna, «le opere aperte, mobili sono un’avventura necessaria del pensiero creativo del nostro tempo, al quale bisognava logicamente arrivare»; ecco allora una lunga teoria di eventi sonori non conclusi, enigmatici, sparsi, un clima tra il guardingo, il mistico e l’austero ( ci sono nitidezza e uno stupore trattenuto in questi spartiti, quasi un misticismo asciutto e profondamente filosofico ), un mood da cosmologia sacrale o da rituale zen. Forse questo viaggiatore al centro del suono ha previsto l’ambiente ed il post-rock? Legittimo chiederselo mentre si osservano, quasi col timore che si possano rompere, queste cellule melodiche minime e sghembe, liriche ma mai compiutamente cantabili, gherigli di melodie simili a nenie di un altrove inabitabile, racchiuse in gusci antichi ed arcani.

LINEE COMPLESSE e prismatiche come un Novecento allo specchio che si guarda scolorire e forse perdere, almeno in parte, senso. Requiem lirici, asciutti, fughe verso gli abissi insondabili del silenzio, ribattuti come pulsazioni di un cuore vivo, affogato ma privo di ogni foga in un limbo statico, estatico. La voce profonda di uno stupore senza bussole reso magistralmente da Ottaviucci, visibilmente addentro a questa sottile magia con la consapevolezza ed il delicato equilibrio di un acrobata in bilico sul vuoto; una musica che non ha timore di affacciarsi sul precipizio, ma fa anzi di questo languore dell’assenza una cifra distintiva. Che conserva il fascino delle sfingi ed evoca la vertigine della storia e le nebbie della memoria, in cui il pianista sa immergersi con scienza, devozione ed un grande controllo delle dinamiche. A sigillare un concerto magistrale nel bis l’inedito Un adieu del 1988, presentato dall’interprete come un brano di una tenerezza toccante, propria di chi sta salutando.

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