Alias

Fabio Donato, incontri da lontano

Fabio Donato, incontri da lontanoEduardo De Filippo, 1976. © Fabio Donato

Mostra Alla Certosa di Padula, gli scatti del fotografo napoletano

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 30 ottobre 2021

Una spiaggia di Bombay, oggi la chiamano Mumbai, in un giorno di gennaio del 1972. Due bambini corrono lungo il mare. Hanno una cesta con degli involtini rossi che ci vogliono vendere…io ho la Nikon in mano e comincio a scattare. Mi avvicino, cerco una giusta prospettiva, voglio quei visi e quelle mani in primo piano, ma quasi subito mi sento apostrofare: «smettila, non li disturbare». E così ci scontriamo sul modo di fotografare.

Fabio Donato mi accusa di essere troppo aggressivo, invasivo, di non rispettare i due bambini. Discutiamo, litighiamo (forse è l’unica volta in quasi sessanta anni d’amicizia). Stai mostrando tutta l’aggressività del giornalista, dice. Lui, invece, riprende la scena da lontano… Compriamo i piccoli frutti rossi e scopriamo che sono peperoncini piccanti, molto piccanti.

Non potevo incominciare quest’articolo su di lui e la sua ultima mostra alla Certosa di Padula senza ricordare questo episodio. Credo che la dica lunga su Fabio Donato e soprattutto sul suo modo di fotografare, di concepire la fotografia. Eppure anche lui ha esordito a fine anni Sessanta come giornalista (o è più corretto dire foto giornalista?).

Ma torniamo a Padula. La mostra Incontri/2Portraits fa parte del progetto «Certosa come centro culturale», voluto dalla Regione Campania per il Vallo di Diana. È il primo tassello di una iniziativa più ampia – la Certosa delle Arti- voluta e finanziata dalla Regione Campania che vedrà dal prossimo anno la creazione di una Summer School di arti, tra cui la fotografia, e lo svolgersi di seminari e incontri con diversi maestri dell’obiettivo. L’organizzazione, insieme alla comunicazione e al marketing, è affidata alla società Scabec.

La mostra potrebbe essere definita anche «la storia di Fabio», cinquant’anni di scatti di Fabio Donato, artista più che fotografo. Un autore che ha tenuto mostre in tutto il mondo, un po’ dovunque in Italia: a Roma, Milano, Venezia, Genova molte a Napoli, ma anche a Monaco, a Pechino, a Bilbao, a San Paolo del Brasile, all’Avana, a San Pietroburgo, Toronto, San Francisco, Parigi. E da più di venti anni insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Per parlare della sua ultima personale – cinquanta fotografie di artisti, attori, musicisti famosi, famosissimi che ha incontrato e ritratto, sfogliamo insieme il catalogo e intanto chiedo a Fabio di scegliere lui stesso alcune sue immagini. Per commentarle, spiegarle, cercare di capire cos’è per lui la fotografia. Ma ancora prima, quasi come premessa a questa chiacchierata, mi dice che per lui la fotografia è sintesi, un «linguaggio sintesi» di tutti gli altri. «Disegnavo, scrivevo, studiavo alla facoltà di Architettura di Napoli, poi mi sono appassionato alla storia dell’arte e ho scoperto il cubismo.E proprio da qui, dal guardare le cose da più punti di vista ho mosso i primi passi da fotografo».

C’è un ritratto di Achille Bonito Oliva giovanissimo. È il 1968 all’epoca della Saletta rossa della Libreria Guida a Port’Alba, dove insieme alle mostre della neo avanguardia si ospitavano personaggi come Roland Barthes, Umberto Eco, Allen Ginsberg. E anche il celebre scatto con Edoardo De Filippo – era il 1978 – appoggiato a un bastone. Fabio mi fa notare, una immagine di Lucio Dalla. Era stato fotografato nel 1975 mentre faceva finta di guidare una macchina. Quelle foto servivano a ispirare i disegni di Bruno Garofalo per la copertina del disco Nuvolari. Una posa ironica, distaccata, ma che riguarda da vicino il suo soggetto.

Possiamo parlare anche di oggi, della fotografia digitale. «Alla fine degli anni Novanta – esordisce Fabio Donato – ho smesso di fotografare in bianco e nero. Il b/n era il passato. La fotografia era finita. Era già nata un’altra fotografia, non confrontabile con quella di una volta. Sono tecnologie completamente diverse. Vedremo cosa succederà in futuro. Io uso la mia macchina fotografica (una Leica digitale da 35mm) come se fosse una camera analogica».

E cosa c’è dietro al digitale? «Tutti fotografano, col cellulare ad esempio, e le immagini sono di ottima qualità tecnica, eccellenti. Se ne producono miliardi. È praticamente impossibile valutare. Una volta c’erano delle regole. Raddrizzare le linee cadenti ad esempio. Fin dalle origini della fotografia, col banco ottico si potevano correggere le distorsioni prospettiche dell’immagine. Oggi non si fanno foto, si premono bottoni, non ci sono più regole. La gente si racconta. Può essere anche questa nuova modalità interessante? Certo, ma perché dobbiamo chiamare foto l’immagine di un piatto di pasta della signora accanto?Realizzata così, senza pensare, tanto poi un programma la metterà a posto!».

La mostra di Padula serve anche a comprendere meglio il modo di procedere nel lavoro di Fabio Donato. Si chiama Incontri che è anche qualcosa di più che «ritratti». Dietro ogni scatto c’è un contatto reale, uno scambio di idee, di sensazioni, di impressioni. Spesso è come un arricchimento che il fotografato regala al fotografo.

I personaggi che l’autore ritrae hanno fatto in qualche modo parte della sua attività professionale, della sua formazione artistica… Come quella foto di Lina Wertmüller che si appoggia a una struttura di Mario Ceroli con al collo una collana disegnata da Giuseppe Manigrasso. Il tutto sembra ripreso da una pièce teatrale e Fabio Donato è il regista. O il ritratto di un (irriconoscibile) Toni Servillo nel 1984 ripreso con la testa nella mini scenografia del David Copperfield.

Ma scorrere il catalogo (per chi alla mostra non riuscirà ad andare) è una continua sorpresa. È la storia di Napoli che si intreccia con le avanguardie artistiche e teatrali di tutto il mondo. Da Mimmo Paladino in fonderia mentre realizza un’opera che andrà nella Metropolitana di Napoli, al Living Theatre o a Dario Fo. E, poi, c’è la fantastica foto di Andy Warhol seduto a fianco di Joseph Beuys. I due non si amavano e l’immagine lo sottolinea con eleganza.

Fabio è un osservatore militante che interagisce con le sue immagini: come rivela l’assonanza cromatica nel ritratto di Hermann Nitsch ai piedi delle Sette opere di Misericordia di Caravaggio. Con questa mostra, narra anche un po’ la storia della sua vita. Fotografava, e fotografa, le cose, gli avvenimenti, i personaggi che ha frequentato. E ci sembra di ritrovare veramente tutti, da Martone a Helmut Newton a Mapplethorpe, da Nitsch a Shimamoto. E, ancora, protagonisti della musica da Pino Daniele a Luciano Cilio, da Dizzy Gillespie a Chat Baker solo per citarne alcuni…

«Sono un fotografo – ripete- non faccio il fotografo».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento