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Fabella, l’ospedale della maternità

Fabella, l’ospedale della maternità

Berlinale Intervista con la cineasta filippina Ramona Diaz, presente al Forum del festival con «Motherland». «È un paese estremamente cattolico e la maggior parte della popolazione rifiuta la contraccezione per motivi culturali, religiosi e di cattiva scolarizzazione»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 18 febbraio 2017

Una giovane donna di 24 anni sta già per mettere al mondo il suo quinto figlio, e fa il colloquio per l’accettazione nel reparto maternità. Con la timidezza di una ragazza risponde alle domande del questionario che le sottopone un’infermiera: è attraverso di lei che entriamo repentinamente a Fabella, l’ospedale di Manila con il reparto maternità più affollato del mondo. I letti della sala travaglio vengono condivisi anche da due madri contemporaneamente, mentre aspettano con pazienza il momento in cui i medici prenderanno tra le braccia il loro bambino con l’esclamazione di rito «Baby out! – bambino uscito» – per poi passare subito a un’altra gestante, come in una catena di montaggio. Nel caos di Fabella ci porta Motherland, il documentario di Ramona Diaz presentato nella selezione di Forum della Berlinale e già vincitore di un premio speciale della giuria al Sundance, dove la regista aveva già vinto un riconoscimento con il suo Imelda, del 2003.
Motherland apre uno spiraglio sulla vita quotidiana dentro l’ospedale pubblico in cui partoriscono le donne più povere, che vediamo socializzare durante la degenza, in attesa di essere dimesse o mentre imparano a fare da «incubatrici umane» per i bambini nati prematuri. Il personale medico cerca di educarle al controllo delle nascite, ma come spiega la regista «le Filippine sono un paese estremamente cattolico e la maggior parte di loro rifiutano la contraccezione per motivi culturali, religiosi e di cattiva scolarizzazione». Il produttore esecutivo del film è Brillante Mendoza che, racconta Diaz, «voleva girare un film in un ospedale: quando gli ho detto del mio progetto, ha subito partecipato».

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Laregista Ramona Diaz

Prima di girare «Motherland» voleva fare un documentario sui diritti legati alla maternità nelle Filippine.
Quando ancora non conoscevo il reparto maternità del Fabella avevo in mente un film sui sommovimenti sociali e culturali causati da una legge che si stava discutendo nel parlamento filippino, che avrebbe dato accesso anche alle classi più povere ai metodi contraccettivi e all’educazione sessuale. È stata una legge molto contestata, dato che l’influenza della chiesa cattolica è potente nel nostro paese: mi interessava il momento di svolta che stavamo vivendo, in cui sembrava che questa influenza si potesse finalmente alleggerire. Quando ho scoperto il Fabella mi ha subito conquistata e ho deciso che il mio film non sarebbe mai uscito dalle mura dell’ospedale.

Il documentario affronta tematiche sociali e politiche, ma è fondamentalmente una storia sulla maternità…
Sin da subito ho deciso di concentrarmi solo sull’osservazione, nello stile del cinema verité. Volevo che il pubblico provasse esattamente quello che ho provato io entrando nell’ospedale, e sapevo che per farlo non mi sarei mai dovuta allontanare dalle madri.Ciò che mi aveva toccata era il legame che si stabilisce tra di loro, le piccole «comunità» che formano durante la degenza, il loro senso dell’umorismo che le salva da delle vite durissime. Non c’era bisogno di affrontare in maniera didascalica i temi sociali che mi stanno a cuore, che trovano modo di emergere indipendentemente.

Per buona parte del film non c’è traccia di uomini. Qual è il loro ruolo nell’universo sociale narrato da «Motherland»?
I ruoli di genere nella società filippina sono ancora molto rigidi, soprattutto tra le classi più povere: gli uomini vanno a lavoro e le donne stanno a casa a fare un figlio dopo l’altro.
Anche gli uomini sono responsabili dell’eccessiva natalità, specialmente perché vogliono un erede maschio e quindi le mogli continuano a provare finché non riescono ad averne uno.
Inoltre, le Filippine sono l’unico paese nel mondo senza una legge sul divorzio: si può chiedere un annullamento ma solo le persone molto ricche se lo possono permettere, mentre tra i più poveri le donne non sono protette in nessun modo. Credo che la sequenza in cui due mariti in visita al Fabella conversano tenendo in braccio i loro bambini appena nati sia molto bella, ma c’è anche il rovescio della medaglia: se sono lì durante l’ora delle visite vuol dire che non hanno lavoro. Molti di loro non possono neanche permettersi il prezzo del biglietto per andare a trovare le mogli in ospedale.

È poi passata la legge sulla contraccezione e l’educazione sessuale?
È stata approvata, ma il governo precedente non l’ha mai implementata. Paradossalmente è stato proprio un presidente controverso come Rodrigo Duterte a firmare l’ordine esecutivo per implementarla e finanziarla. Duterte è molto progressista per quanto riguarda i diritti delle donne: si sta anche battendo per una legge sul divorzio.
Ma è impossibile dire se sia una mossa in favore delle donne o contro la chiesa, che avversa fortemente e alla quale in questo modo ha lanciato una sfida. Gli piace farsi nemici potenti. ..

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