Fabbrica Europa, a scuola di danza nel tempo presente
A teatro La vitalità di una rassegna storica, dove un pubblico numeroso ha potuto vedere, negli spazi del Maggio Musicale Fiorentino, diverse articolazioni del linguaggio coreografico. Si distingue «Thats All Folks!» di Bigi e Paoletti, laboratorio fisico e intellettuale, oltre ai soli di Cristina Kristal Rizzo e Harald Beharie. Spettacoli in programma fino a metà ottobre
A teatro La vitalità di una rassegna storica, dove un pubblico numeroso ha potuto vedere, negli spazi del Maggio Musicale Fiorentino, diverse articolazioni del linguaggio coreografico. Si distingue «Thats All Folks!» di Bigi e Paoletti, laboratorio fisico e intellettuale, oltre ai soli di Cristina Kristal Rizzo e Harald Beharie. Spettacoli in programma fino a metà ottobre
È tornata Fabbrica Europa, la grande rassegna di danza intrapresa da Maurizia Settembri ormai più di trent’anni fa, che ogni volta convoca a Firenze, a livello pressoché mondiale, una sorta di «stati generali» del settore, scoprendo e indagandone le molte facce, possibilità e innovazioni, in un programma fittissimo ed eterogeneo, che della danza indaga ogni strumento espressivo e le potenzialità anche meno scontate. Anche quest’anno la rassegna è molto fitta, e andrà avanti fino a metà ottobre proponendo, indagando e approfondendo le infinite possibilità del corpo e del suo movimento.
Una seduta particolarmente intensa è stata pochi giorni fa quella che ha richiamato nella sede del Maggio Musicale Fiorentino (con la sua ricchezza articolata di spazi alle Cascine) un pubblico numeroso, che in tre diversi ambienti del teatro lirico ha potuto vedere tre diverse articolazioni del linguaggio coreografico.
DUE ERANO di artisti solisti, per cui la tecnica (per quanto avanzata e articolata) ha finito col prevalere sulla complessità del significato spettacolare. Cristina Kristal Rizzo ha affidato alla danzatrice orientale Megumi Eda (che ha danzato con quasi tutti i maestri della ricerca coreutica internazionale) il suo Monumentum the second sleep (prima parte, il solo). Un percorso con e sul corpo, di grande stile e abilità. Lo spessore, e il fascino, di quel corpo stavano nel coordinamento serrato che avveniva in diretta con il suono che la stessa coreografa mandava (a lei e al pubblico) attraverso un dispositivo elettronico che rielaborava musiche di Gesualdo da Venosa e Lamin Fofana. Un esercizio di alta scuola, che inquietava lo spettatore nelle risposte del corpo ai suoni, alta scuola di fisica danza nel rapporto calibrato su quell’ambient music.
Un esercizio, ma solo in parte «paragonabile», anche quello di Harald Beharie, ambientato nei sotterranei dell’ente lirico fiorentino: il danzatore, norvegese di origine giamaicana, nudo e rivestito solo dei suoi lunghi capelli, conduceva il pubblico dentro le proprie pulsioni, a tratti irrefrenabili, di gesti, corpo, danza che non trovavano limiti, se non dentro di sé. Più che uno spettacolo hard, al di là delle apparenze, dava la radiografia impietosa di una umanità inesauribile e votata alla «soddisfazione mancata» dei propri richiami, col lenimento della curiosità con cui esplorava il proprio corpo e le proprie reazioni. «Impudico» rispetto al pubblico, eppure coinvolgente per quella malinconia che pervadeva la sua ricerca di desiderio e soddisfacimento. Una sorta di «dimostrazione» a futura memoria (piuttosto rari i momenti di ironia o di consapevolezza).
VERA CREAZIONE coreografica invece quella che Damiano Ottavio Bigi e Alessandra Paoletti hanno preparato col titolo Thats All Folks!. Lui è l’unico a poter vantare in Italia un curriculum straordinario per aver lavorato per anni con Pina Bausch e ora con il greco Papaioannou, i due maestri assoluti di teatrodanza degli ultimi decenni.
Quattro danzatori (due orientali, un americano e lo stesso Bigi) sospesi nello spazio, senza indicazioni di luogo e tempo, di fronte alla possibilità di una ricerca profonda (forse anche di se stessi). È quella molla che li spinge al movimento, armonici quanto senza coordinazione apparente. È bello scoprire, in poco tempo, che sia proprio la danza a permettere loro vitalità e precisione. Ne nasce una sorta di laboratorio (intellettuale oltre che fisico) che coinvolge il pubblico quanto i quattro «eroi» sulla scena. Senza nascondere illusioni e difficoltà di quella «ricerca» se non impossibile certo faticosa, cui vanno le energie profuse senza risparmio. Un piccolo «viaggio interiore» per lo spettatore, che può scoprire nella danza non solo piacere e rassicurazioni, ma anche nuovi percorsi nei mondi futuri.
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