Una riflessione a più voci sul rapporto tra forma e formato: è questo il cuore del libro Semiotica del formato. Misure, peso, volume, proporzioni, scala, a cura di Tiziana Migliore e Marion Colas-Blaise, recentemente pubblicato da Mimesis (pp. 288, euro 26). Attraverso i contributi di studiosi di varie discipline, il libro spazia dalla letteratura alla moda, alla semiotica, alla filosofia, all’architettura, all’arte (antica, moderna e contemporanea), alle pratiche espositive, in una polifonia di approcci e di vividi esempi che avvince il lettore.

Come spiegano le curatrici nella loro introduzione, quest’antologia di quindici saggi «torna sul concetto semiotico di ’forma’ e aggiunge agli strumenti per l’analisi le categorie metriche, riunite nel termine ’formato’». Il formato — a misura d’uomo, ma soprattutto extra small e extra large — viene qui esaminato mettendo in rilievo le relazioni di valore e di potere intersoggettive che produce fra somatico e semantico. E vengono sviluppate interessanti analisi su sublime, mostruoso e kitsch.

Pluralista quanto ai punti di vista offerti dai singoli autori, questo libro offre un vasto repertorio di casi di studio acutamente discussi da semiologi, biofisici, filosofi, architetti, storici dell’arte, e curatori. Riunite in volume, le varie argomentazioni intessono tra loro «dialoghi a distanza».

NEL DISEGNO delle curatrici del libro l’ordine in cui i saggi appaiono intende offrire un’esplorazione coerente del tema del formato. A inaugurare l’antologia è l’analisi di Anne Beyaert-Geslin sul paradosso del formato — il cui statuto è in bilico tra enunciato ed enunciazione – attraverso l’esame di dipinti di Théodore Géricault et Gustave Courbet.

Seguono il saggio di Tiziana Migliore sui salti di scala, soprattutto in relazione alle sculture dell’australiano Ron Mueck e alle installazioni dei britannici Jake e Dinos Chapman; l’indagine storica di Renato Barilli sul salto di scala nell’arte moderna e contemporanea, in cui viene sottolineato il ruolo fondamentale giocato dall’arte della fotografia e dalle possibilità offerte dal blow up; l’esplorazione ad opera di Michele di Monte dei lavori dell’artista americano Robert Therrien (1947-2019); e lo studio su massa corporea e formato condotto da Francesco Marsciani che sottolinea: «il corpo non può non significare, perché è il luogo stesso in cui si producono immagini».

SI SNODANO, poi, sulla pagina l’indagine di Bianca Terracciano sulle misure e la taglia nel linguaggio della moda; le meditazioni di Robert Storr sul grande formato attraverso il prisma del linguaggio scultoreo dell’americano Tony Smith (1912-1980); la riflessione di Maria Giuseppina Di Monte sul «campo allargato» dell’opera nelle pratiche Pop di Andy Warhol e Roy Lichtenstein e soprattutto nell’arte dell’americano Ellsworth Kelly (1923-2015); l’interpretazione critica di Paul Ardenne sull’architettura e le arti «fuori norma», la cui dilatazione fisica annuncia una sovraesposizione di immagine; lo studio di mostre-evento «maxi» – esemplificate dal modello della Biennale di Venezia – di Stefania Zuliani, che si concentra sulla Biennale di Berlino del 2012, Manifesta 9 (2008), e Documenta 13 (2012). Altri saggi riguardano il formato mini e la scala.

Ruggero Pierantoni esamina il macroscopico e il microscopico, attraverso esempi quali il mosaico dell’asàroton (il noto «pavimento non spazzato», con i resti del pasto sparsi sulla sua superficie) creato dall’artista Sosos di Pergamo, attivo nel II sec. a. C., e la replica prodotta a Bayreuth nel 2013, nel bicentenario di Wagner, nell’ambito della produzione dell’Anello del Nibelungo diretta da Frank Castorf, in cui il Mount Rushmore National Memorial fu replicato sostituendo ai volti dei presidenti americani le effigi di Marx, Lenin, Stalin e Mao.

Agostino De Rosa ci conduce nel mondo affascinante delle scatole prospettiche olandesi del Seicento; Fabrizio Gay, concentrandosi sul lavoro di riconversione del Musée National des Monuments Français di Parigi attuato negli anni Trenta da Paul Deschamps, s’interroga sul ruolo assiologico e pedagogico delle maquettes di grandi architetture e spazi urbani. A conclusione del volume, Carla Subrizi ci porta nell’universo dell’artista americana Nancy Spero (1926-2009) soffermandosi in particolare sul suo Codex Artaud (1971-73).

IN QUEST’ANTOLOGIA si rincorrono riferimenti a Leonardo, Leon Battista Alberti, allo storico dell’arte Meyer Schapiro, all’antropologo Claude Lévi-Strauss, a filosofi quali Walter Benjamin, Gaston Bachelard, Ludwig Wittgenstein e Roland Barthes, agli scrittori Lewis Carroll (con il suo Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie – Attraverso lo Specchio) e Jonathan Swift (con I viaggi di Gulliver), al semiologo Umberto Eco, e al critico Gillo Dorfles, per citarne solo alcuni. Sviluppando in particolare gli insegnamenti dei semiologi Algirdas Julien Greimas e Paolo Fabbri, le curatrici hanno saputo realizzare un importante contributo, insieme rigoroso e agile, alla semiotica visiva contemporanea, aggiungendo il tassello delle categorie metriche alle sue chiavi di interpretazione. Il libro ha il pregio di rivolgersi a un pubblico specialistico come a chi desideri accostarsi al tema del formato per la prima volta.
Nella nostra epoca digitale, in cui i dispositivi di «realtà virtualmente aumentata» sono diventati parte dell’esperienza comune, interrogarsi su formato e forma, sulla relazione tra osservato e osservatore e sulla centralità del corpo non può che contribuire a una rinnovata consapevolezza delle forme di percezione e conoscenza, oggi quanto mai necessaria.