Expo lo licenzia perché dieci anni fa occupò una casa
Milano La storia di Claudio: «Sono così pericoloso che quando avevano bisogno di tirare su i padiglioni perché erano in ritardo non hanno fatto storie sul mio passato e mi hanno fatto lavorare. Dal primo maggio però sono diventato un indesiderato. Se possibile farò causa per danni a Expo o al Viminale»
Milano La storia di Claudio: «Sono così pericoloso che quando avevano bisogno di tirare su i padiglioni perché erano in ritardo non hanno fatto storie sul mio passato e mi hanno fatto lavorare. Dal primo maggio però sono diventato un indesiderato. Se possibile farò causa per danni a Expo o al Viminale»
C’è chi può e chi non può. Troppo facile la battuta nella giornata in cui la presidente di Expo SpA viene indagata per evasione fiscale. Facile si, ma drammaticamente vera: per lei e per gli altri «Expo-indagati» non c’è stato filtro di polizia che abbia tenuto. Ma il capo, si sa, non ha bisogno del badge. Altri sono gli indesiderati dentro all’Esposizione Universale. Come Claudio (nome di fantasia), che ieri ha telefonato a Radio Popolare dal sito di Expo, rigorosamente nei suoi cinque minuti di pausa.
Perché lui dentro Expo ci lavora ancora, ma non dovrebbe: è una delle diverse centinaia di persone respinte dal filtro di polizia che vigila sui lavoratori dell’esposizione. La sua storia è tragicomica e racconta bene la discrezionalità, l’assurdità e, probabilmente, l’illegittimità di questo filtro. «Ho iniziato a lavorare nel cantiere di Expo il primo dicembre 2014 – ha raccontato Claudio – mi hanno accreditato e mi hanno dato un badge per entrare nel sito ancora in costruzione. Non c’è mai stato alcun problema fino al primo maggio, quando Expo ha aperto e le disposizioni sono cambiate».
Qualcuno quindi, ci viene da supporre Expo SpA o il Governo, ha deciso che dal primo maggio le procedure per l’accreditamento dovevano cambiare e che per entrare nel sito si sarebbe dovuto superare il filtro di Questura e Prefettura. Filtro, o parere, discrezionale e non vincolante per Expo SpA, come ci hanno detto dalla società Expo alcuni giorni fa, ma di cui prendono atto negando il pass nel 99% dei casi.
«Dal primo maggio la mia azienda si è quindi ritrovata con un lavoratore in meno da far lavorare dentro Expo e ha chiesto spiegazioni – continua Claudio – ma non sono mai arrivate. Qualcosa nel mio passato deve aver turbato non so chi. Turbato così tanto che io ora sto comunque lavorando dentro Expo». Il vecchio badge di Claudio infatti scade il 31 maggio, la sua azienda non lo ha licenziato, e quindi sta continuando a lavorare nonostante Expo gli abbia negato il nuovo pass. «Sono così pericoloso che quando avevano bisogno di tirare su i padiglioni perché erano in ritardo non hanno fatto storie sul mio passato e mi hanno fatto lavorare, dal primo maggio però sono diventato un indesiderato. Per fortuna l’azienda per cui lavoro non mi ha licenziato, mi ricollocheranno fuori da Expo perché mi conoscono, ho sempre lavorato bene e non gli interessa cosa ho fatto nella mia vita dieci anni fa».
Perché Claudio qualche denuncia ce l’ha. Una decina di anni fa ha occupato una casa ed è stato identificato in manifestazioni di quegli anni. «Sono ridicoli e il fatto che io stia lavorando con un badge vecchio dimostra che il sistema di sicurezza di Expo ha qualche problema. Se fossi un problema per la sicurezza di chi viene a Expo avrebbero dovuto tenermi lontano da subito o annullare il mio vecchio badge. È una situazione assurda”. Claudio è stato fortunato in questa incredibile vicenda, non è stato licenziato. Ma perderà 5 mesi di lavoro a Expo.
«Sto vedendo con il mio avvocato se ci sono gli estremi di fare causa a Expo o al Viminale per danni economici, visto che perderò i miei cinque mesi di lavoro dentro all’esposizione». Cosa è diventata questa Expo? Una zona con regole straordinarie? Un luogo in cui è stato dichiarato lo Stato di emergenza? O nel silenzio quasi generale si sta facendo passere come normale la schedatura e il licenziamento di persone per le loro idee o frequentazioni? Un tempo si chiamavano licenziamenti politici.
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