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Ex Penicillina, lo sgombero spot

Ex Penicillina, lo sgombero spotI migranti in strada dopo lo sgombero – LaPresse

Roma Decine di persone senzatetto buttate fuori dall’ex fabbrica di via Tiburtina, un rudere e «bomba ecologica». Il ministro dell’Interno Matteo Salvini presenzia per una decina di minuti alle operazioni delle forze dell’ordine. Ma viene contestato da alcuni abitanti del quartiere

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 11 dicembre 2018

Da una parte della via Tiburtina ci sono le truppe di polizia municipale e carabinieri in assetto antisommossa. Dall’altro lato della consolare, oltre una barriera difficilmente valicabile fatta da quattro corsie con perenni lavori in corso e spartitraffico in cemento, si assiepano decine di giornalisti. Lo sgombero annunciato della ex fabbrica di Penicillina, nella periferia orientale romana, doveva essere occasione per il ministro dell’Interno di costruirsi una location dal quale lanciare il consueto messaggio di tolleranza zero. Verso le 10 Matteo Salvini si presenta. Si ferma dieci minuti, il tempo di raccogliere la contestazione di diversi cittadini del quartiere. Salvini saluta l’inizio di «un altro giorno all’insegna dell’ordine, della legalità e della pulizia». Poi ribadisce quanto va dicendo da mesi: «Sono previsti altri sgomberi a Roma e in tante altre città italiane». Qualcuno gli urla: «Sciacallo!». Altri contestano che la gente resterà in mezzo alla strada o chiedono conto dell’amianto e delle sostanze chimiche dentro lo stabilimento industriale: «Chi ci pensa alla nostra salute?».

Il ministro mette tutto in un unico calderone: questo insediamento spontaneo nato da un paio di anni dentro a un posto insalubre e spesso utilizzato da persone che fanno lavori stagionali e in transito viene accomunato alle tante occupazioni messe in piedi dai movimenti di lotta per l’abitare. In nome della ruspa.

LA MAGGIOR PARTE delle centinaia di abitanti dell’Ex Penicillina da giorni ha abbandonato gli accampamenti di fortuna dentro alle mura divelte del gigantesco rudere della fabbrica che nel 1950 venne inaugurata da Alexander Fleming in persona. Prima di chiudere definitivamente i battenti nel 2006, era passata in mano ad una società statunitense. Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta del secolo scorso, quando pareva che la Tiburtina dovesse diventare la zona industriale di una città nella quale i governanti fin dall’unità d’Italia avevano evitato concentrazioni di operai di fabbrica, qui lavoravano quasi duemila persone. Poi il lento declino.

Oggi resta lo scheletro delle glorie passate, che forse sarebbe rimasto nascosto dai labirinti dell’urbanistica se all’epoca della giunta di centrosinistra di Walter Veltroni, ormai oltre dieci anni fa, non si decise che la Tiburtina doveva essere allargata per far spazio a chissà quali prospettive di sviluppo commerciale. Gli investimenti non arrivarono mai e i lavori rimasero perennemente incompiuti: oggi per percorrere la Tiburtina dalla nuovissima stazione ferroviaria al Grande raccordo anulare bisogna fare lo slalom tra gli spartitraffico e le transenne. Successe però che l’allargamento appena abbozzato della carreggiata rese improvvisamente accessibile quanto restava della grande fabbrica.

DAVANTI AD UNA CAMIONETTA si scorge uno spaesato migrante africano vestito da Babbo Natale, con tanto di palloncini colorati. È uno dei 35 rimasti in attesa dello sgombero. Che fine faranno lui e i suoi compagni che vediamo incamminarsi trascinando dei trolley sull’asfalto malmesso della Tiburtina? «Succederà quello che è successo per altri sgomberi – dice sconsolata Sara Radigheri, che lavora al progetto Cliniche mobili di Medici senza frontiere – Saranno tutti controllati e poi rilasciati. Andranno ad occupare altri posti. Non sono state offerte soluzioni concrete, le persone sono ancora per strada e marginalizzate».

Dal Campidoglio invece sostengono che ci sono una settantina di persone in attesa dei colloqui con il personale della Sala operativa sociale, la struttura di accoglienza a bassa soglia che dal mattino con un ufficio mobile staziona davanti allo stabile. Ma in serata basta farsi un giro per il quartiere, muovendosi nel quadrante tra le case popolari di San Basilio e i capannoni di Tor Cervara, per raccogliere le voci degli stabili abbandonati che sarebbero stati scelti come rifugio temporaneo dagli sfollati dell’Ex Penicillina: sono tutti edifici reduci dal sogno industriale della Tiburtina e scampati alla proliferazione di sale da slot machine.

LE ASSOCIAZIONI del quartiere temono che lo spazio enorme dell’Ex Penicillina resti abbandonato, lo definiscono una «bomba ecologica», o che divenga preda dell’ennesima speculazione. Per questo l’Asia Usb organizza convegno sul futuro dell’area per venerdì 14 nell’occupazione abitativa di via Tiburtina 1064. Ci saranno comitati, ambientalisti e urbanisti.

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