Ex Ilva, Mittal rompe col governo. Stop alla ricapitalizzazione
La crisi Il socio privato boccia il finanziamento da 320 milioni e manda all'aria il tavolo. L'esecutivo, in cerca di una soluzione, convoca i sindacati per l’11 gennaio. Peacelink: «La produzione è al minimo ma l’inquinamento è aumentato»
La crisi Il socio privato boccia il finanziamento da 320 milioni e manda all'aria il tavolo. L'esecutivo, in cerca di una soluzione, convoca i sindacati per l’11 gennaio. Peacelink: «La produzione è al minimo ma l’inquinamento è aumentato»
Dopo due ore e mezzo a Palazzo Chigi con l’amministratore delegato di Arcelor Mittal per sciogliere la matassa della governance dell’ex Ilva, una nota stringata del governo, che era rappresentato al vertice dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dal titolare degli Affari Ue Raffaele Fitto, da quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, dalla ministra del Lavoro Elvira Calderone e, infine, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, lascia filtrare che la delegazione governativa ha proposto ad Aditya Mittal di sottoscrivere un aumento del capitale sociale pari a 320 milioni.
È L’ANNUNCIO che in molti si attendevano: il socio pubblico di Acciaierie d’Italia, cioè Invitalia, oggi al 38% delle quote, diventa socio di maggioranza con il 66%. Sarebbe stata una parziale nazionalizzazione della fabbrica ma – così trapela da Palazzo Chigi – «vede l’indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale». Tradotto: il socio privato non vuole più mettere soldi nell’ex Ilva. Così l’ipotesi di un aumento della partecipazione pubblica non sarebbe più all’ordine del giorno. Nel futuro, viene riferito, ci potrebbe essere il commissariamento dell’ex Gruppo Ilva, l’amministrazione straordinaria o un nuovo partner industriale.
IL NODO sono le risorse necessarie a garantire un futuro all’azienda. A cominciare da quelle per acquistare gli impianti Ilva in amministrazione straordinaria: circa un miliardo. Al momento sono in cassa integrazione 3 mila lavoratori, 2.500 a Taranto. In una nota congiunta, i segretari generali di Fim-Cisl Roberto Benaglia, Fiom-Cgil Michele De Palma e Uilm Rocco Palombella auspicano «la necessità di un controllo pubblico» e stigmatizzano «la mancanza di volontà del socio privato di voler investire risorse sul futuro dell’ex Ilva». Per questo, i sindacati confederali definiscono «gravissima l’indisponibilità di Mittal manifestata nell’incontro con il Governo, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti».
SUL FRONTE SINDACALE c’è grande attesa per la convocazione ricevuta per l’undici gennaio a Palazzo Chigi. «Ci aspettiamo dal Governo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale». Si spinge oltre il sindacato autonomo Usb, invitando a discutere anche degli incentivi all’esodo volontario «che sono richiesti da una parte dei lavoratori e non devono essere più un tabù», dicono Sasha Colautti e Francesco Rizzo in rappresentanza dell’esecutivo nazionale.
MENTRE SI SVOLGEVA l’incontro a Roma, l’ennesima giornata di protesta dei «padroncini» è invece andata in scena a Taranto, davanti alla portineria C del siderurgico. Gli autotrasportatori sono in mobilitazione dalla fine dello scorso anno perché pretendono il pagamento di fatture arretrate e oggi (ieri ndr) hanno ricevuto la solidarietà del Pd. Secondo il parlamentare Ubaldo Pagano (che ha incontrato i camionisti insieme alla segretaria dem locale Anna Filippetti): «Bisognerà immediatamente mettere in campo investimenti per liquidare tutte le fatture maturate, quelle nei confronti degli autotrasportatori come quelle verso tutto il tessuto imprenditoriale che orbita nell’appalto ex Ilva». A conti fatti, dice il deputato a il manifesto, «servono 5 miliardi da destinare alle opere di decarbonizzazione e garantire la continuità produttiva, quindi il mantenimento dei livelli occupazionali, con un impatto ambientale ridotto».
«È QUESTA L’OCCASIONE per rivedere l’autorizzazione integrata ambientale, inserendo la valutazione del danno sanitario all’interno del procedimento autorizzativo» dice Maurizio Baccaro, coordinatore di Sinistra Italiana a Taranto. E lancia l’idea della riforma della governance della fabbrica sulla base del modello tedesco che prevede l’esistenza del consiglio di sorveglianza per consentire alle rappresentanze dei lavoratori e delle istituzioni di essere coinvolti nelle scelte e nel controllo sull’applicazione delle stesse. Secondo Baccaro «è anche la scelta di non attuare questo percorso che ha impedito di avere certezze sulla tutela della salute e degli investimenti». E, tuttavia, questa vicenda ha più che altro a che fare con il modello predatorio dell’economia, con un sistema che fa dire al presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, citando i dati dell’Arpa: «L’anno scorso a Taranto l’inquinamento è aumentato; nel quartiere Tamburi polveri sottili e benzene sono aumentati, i dati della centralina Arpa di via Orsini descrivono un peggioramento nel 2023. L’anno appena passato è risultato peggiore del 2022 che, a sua volta, aveva registrato un peggioramento rispetto al 2021».
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