Ex Ilva, dal 28 marzo tremila lavoratori in cassa integrazione per un anno
Il caso Uilm: «non vogliamo essere complici di un progetto che prefigura un disastro socio-ambientale e porterà a migliaia di licenziamenti»
Il caso Uilm: «non vogliamo essere complici di un progetto che prefigura un disastro socio-ambientale e porterà a migliaia di licenziamenti»
Tremila lavoratori dell’ex Ilva, di cui 2500 a Taranto, torneranno in cassa integrazione straordinaria (Cigs) per dodici mesi a partire dal prossimo 28 marzo. Lo ha comunicato ieri Acciaierie d’Italia ai sindacati. Nella città pugliese il personale da collocare in Cigs sarà suddiviso tra Area fusione (934) Area laminazione (413) e Area servizi e staff (1.153). Gli altri 500 lavoratori da collocare in Cigs negli altri siti sono così suddivisi: 15 a Racconigi, 10 a Legnaro, 150 a Novi Ligure, 30 a Marghera, 250 a Genova, 40 a Milano, 5 a Paderno. Il «piano di ristrutturazione» prevederà inizialmente una produzione di 15mila tonnellate d’acciaio al giorno rispetto alle circa 20mila tonnellate producibili ad assetto produttivo ordinario. Per Taranto si prevede il «rifacimento ed avvio di Altoforno 5, investimenti per la costruzione di un nuovo forno elettrico, investimenti tecnici e miglioramento qualità, adeguamento e upgrade ambientale degli impianti esistenti». L’azienda spiega che «solo il completamento della prevista riorganizzazione aziendale, che si presume si concluderà nel 2025, e quindi il raggiungimento di volumi produttivi pari a circa 8 milioni di tonnellate l’anno consentirà il totale impiego delle risorse».
«Continua lenta e incessante la distruzione dell’ex Ilva sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini – ha sostenuto Rocco Palombella segretario generale della Uilm – Dopo due anni e mezzo di cassa integrazione unilaterale, prima ordinaria e poi Covid, rinnovata ogni tredici settimane per migliaia di lavoratori». Questa nuova cassa integrazione è stata prevista «senza nemmeno la presentazione di un piano industriale – ha aggiunto Palombella – Tutto questo avviene nell’indifferenza del governo, socio tramite Invitalia di Acciaierie d’Italia, e in un contesto di mercato che fa registrare record per la produzione di acciaio. Che fine hanno fatto tutti gli impegni assunti in questi anni per rilanciare la siderurgia italiana, per gli investimenti legati alla decarbonizzazione e alla produzione dell’acciaio green a Taranto?».
La Uilm non firmerà la Cigs. «Noi non vogliamo essere complici di un progetto che – secondo Palombella – prefigura un disastro ambientale, sociale e industriale e non firmeremo alcun accordo di Cigs che sarà la causa di migliaia di licenziamenti».
Tutto questo avviene durante la guerra in Ucraina. La siderurgia italiana importa circa 2 milioni di tonnellate l’anno dalla Russia e 2,5 milioni di tonnellate di semilavorati dall’Ucraina. Fim, Fiom e Uilm hanno condannato «fermamente l’aggressione» della Russia e sostengono che «non si può pensare di scaricare, dopo quella della pandemia, il peso della crisi sui lavoratori e sulle loro famiglie che già ne pagano le conseguenze in termini di inflazione e caro bollette».
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