Ex acciaieria Falk: veleni sotto il tappeto
Ex acciaieria Falk Per anni le pericolose scorie dell’attività siderurgica si sono riversate nel lago. E la bonifica promessa dalla Regione non c’è mai stata
Ex acciaieria Falk Per anni le pericolose scorie dell’attività siderurgica si sono riversate nel lago. E la bonifica promessa dalla Regione non c’è mai stata
«In famiglia lo si sentiva dire spesso: non ci andare a vivere sul lago». Il lago in questione è quello di Novate-Mezzola, a nord del Lago di Como. Montagne alte e aspre fanno da cornice a un vasto pianoro sospeso fra terra ed acqua.
È SEDE DI UNA RISERVA naturale, quella del Pian di Spagna e Lago di Mezzola, di importanza strategica europea per la tutela della biodiversità continentale e area di sosta per gli stormi migratori. Gli spagnoli eressero nella piana alluvionale diverse fortificazioni essendo luogo di transito strategico verso la Svizzera. A lato del lago si snoda l’antica Via Francisca, un ramo della Via Francigena, e su una delle sue sponde si erige un piccolo gioiello di architettura romanica del IX secolo.
Ma quali sono le ragioni di quello stigma? Dal 1964 al 1990 sulle rive di quel lago ha funzionato l’acciaieria Falk. Per anni le pericolose scorie dell’attività siderurgica, si sono riversate nel lago, disperse nell’aria, accumulate nel suolo. «Da ragazzina mi ricordo come ci scherzavamo su quella nebbia sospesa sempre sulla fabbrica». Sono i ricordi di alcuni degli abitanti dei comuni limitrofi al lago, Samolaco e Novate Mezzola, che poi non hanno scherzato più quando hanno visto ex lavoratori, amici e parenti morire di cancro.
UN PASSATO che gli abitanti vorrebbero lasciarsi alle spalle, ma che ancora presenta il conto. Durante gli anni di funzionamento della fabbrica i residui di lavorazione venivano stoccati in due discariche abusive ubicate nei pressi dell’area industriale e utilizzate come terrapieno all’interno dell’area stessa.
Cumuli di scorie all’interno delle quali si trova in particolare il Cromo IV, metallo pesante ufficialmente riconosciuto come altamente tossico e cancerogeno. La chiusura della fabbrica avvenne nel 1991: un accordo stipulato tra enti locali e proprietà prevedeva la bonifica dell’area, che venne approvata dalla Regione Lombardia nel 2001. E quando venne effettuata questa bonifica?
Sostanzialmente mai. I lavori svolti non comportarono quello che «bonifica» significa, ovvero rimozione delle sorgenti inquinanti. Gli edifici vennero solo parzialmente smantellati, ma soprattutto le scorie sono ancora lì: i siti di accumulo vennero semplicemente ricoperti con asfalto o con una telonatura impermeabile solo in superficie, senza alcuna impermeabilizzazione della falda freatica sottostante.
QUESTO INTERVENTO venne definito «Bonifica con messa in sicurezza permanente» e qui cominciano le contraddizioni e i punti oscuri. La legge italiana stabilisce i limiti del Cr VI a 5 microgrammi/L per le acque a 2 per il suolo. Non sussiste nessuna spiegazione ufficiale sulla decisione del Gruppo di lavoro provinciale di alzare l’obiettivo di bonifica a 30 microgrammi/L.
Una deroga volta a far rientrare nei limiti di legge la persistenza di depositi inquinanti. Non si capisce neanche come mai la certificazione di avvenuta bonifica richiami a un’indagine epidemiologica redatta dalla ASL e trasmessa alla Provincia di Sondrio nel 2002 che non è mai stata eseguita. A scoprirlo sono stati alcuni esperti indipendenti appartenenti a Medicina democratica e medicina per l’ambiente, i quali hanno anche espresso delle critiche sull’unica indagine epidemiologica condotta solo nel 2015: eseguita su un campione di persone troppo esiguo e senza seguire, come invece dichiarato dall’Asl, la metodologia prevista dal Ssn.
AMBIGUITÀ E OMISSIONI sulla quale gli unici a esprimere preoccupazione sono stati negli anni i cittadini della zona, nel tempo poi costituitesi nel «Comitato Salute Ambiente Valli Lago. Preoccupazioni che sono diventati stato di allarme e mobilitazione nel momento in cui si è deciso – a causa della contaminazione – di riconvertire l’area da una destinazione d’uso turistico-ambientale a quella d’uso industriale.
Contemporaneamente la Novate Mineraria, proprietaria dell’area, ha presentato un progetto definito «Parco Minerario» che prevede l’ampliamento delle piccole cave di granito già presenti in riva al lago per la creazione di ballast, la ghiaia per le massicciate dell’alta velocità ferroviaria. Progetto che ha ottenuto il via libera da Comune, Provincia e Regione.
DA PARTE DEI CITTADINI è stata una levata di scudi: oltre al tanto materiale già prodotto e alle azioni intraprese per denunciare la mancata bonifica e la presenza del cromo nel suolo e nelle acque, sono partite manifestazioni, appelli, petizioni, richieste di accessi agli atti per fermare un progetto che va contro ogni logica di buon senso e anche di legge. E qui un’altra incongruenza: come si è potuto autorizzare il riavvio dell’attività industriale quando la messa in sicurezza è subordinata al divieto assoluto di intervenire sulla copertura dell’area contaminata?
E per di più quando il piano territoriale regionale vieta la realizzazione di impianti come quelli dedicati alla «lavorazione di inerti»? Per non parlare del fatto che i vertici della Novate Mineraria nel 2014 sono stati iscritti sul registro degli indagati per disastro ambientale e di quello che significherebbe per una zona che ha già pagato un prezzo altissimo un’attività di estrazione mineraria: diffusione di polveri, aumento del traffico, e soprattutto i rischi connessi alla messa in movimento delle scorie.
Che sia un progetto irricevibile lo pensano anche gli ex-operai delle acciaierie Falck, che hanno visto con i loro occhi depositare quel materiale tossico sulla quale si vuole costruire.
IL LAVORO DEL COMITATO ha fatto si che nel 2015 la vicenda è riuscita a bucare il grande schermo con un servizio realizzato dalla trasmissione «Alle falde del Kilimangiaro» e dopo anni di inerzia qualcosa si muove: la procura decide di dare avvio a una serie di indagini, i carabinieri forestali di Sondrio si mettono finalmente al lavoro e vengono acquisiti gli atti tecnici ed amministrativi relativi alla certificazione di bonifica e al progetto industriale, tonnellate di materiale che viene scandagliato alla ricerca di irregolarità; contemporaneamente si effettuano analisi delle acque e del suolo.
E qualcosa deve essere saltato all’occhio se nell’aprile 2017 il nucleo investigativo del corpo di polizia ambientale e forestale decide di mettere sotto sequestro tutta la rete di monitoraggio del suolo e delle acque che fluiscono dall’ex area Falck e viene depositata presso la procura di Sondrio la richiesta di mettere tutta l’area sotto sequestro preventivo. Condizioni non esattamente ideali per l’avvio di un progetto industriale, che di fatti, è fermo. Avviato e condotto l’incidente probatorio, ora le indagini preliminari si sono concluse.
IL 27 FEBBRAIO IL GIUDICE deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, aprendo alla possibilità che si accertino dopo anni di silenzi e sottovalutazioni, non solo le responsabilità e le dimensioni del fenomeno di inquinamento ma anche eventuali imperizie e omissioni a carico di istituzioni pubbliche e di operatori privati interessati ad avviare il loro business nell’area industriale. Una decisione importante che potrebbe dare al lago e i suoi abitanti un futuro sostenibile e di qualità dopo un passato di veleni e morte.
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