Europa, sostenibilità per superare la crisi economica
Siamo a terra Sarà sulla modulazione della transizione energetica all’era post-fossile che si giocherà una delle battaglie politiche all’interno e tra gli organi che guideranno l’Unione europea nel prossimo quinquennio. Un antipasto di […]
Siamo a terra Sarà sulla modulazione della transizione energetica all’era post-fossile che si giocherà una delle battaglie politiche all’interno e tra gli organi che guideranno l’Unione europea nel prossimo quinquennio. Un antipasto di […]
Sarà sulla modulazione della transizione energetica all’era post-fossile che si giocherà una delle battaglie politiche all’interno e tra gli organi che guideranno l’Unione europea nel prossimo quinquennio.
Un antipasto di questo confronto ci è già stato servito nel primo trimestre di quest’anno, quando Commissione e Parlamento europeo si sono scontrati sull’obiettivo al 2030 dei consumi energetici coperti da rinnovabili: mentre la Commissione era a favore del 27%, il Parlamento europeo puntava al 30%. A marcare ulteriormente questo braccio di ferro si è aggiunta la mancata indicazione, da parte della Commissione, di un obiettivo vincolante in materia di efficienza energetica. Mentre il target proposto di riduzione del 40% delle emissioni di Co2 è apparso del tutto insufficiente rispetto alla necessità di arrivare ad abbassarle del 80-90% al 2050 per mantenere l’aumento della temperatura media del pianeta sotto i due gradi, come richiesto dagli scienziati dell’Ipcc (la task force di scienziati dell’Onu che studia i cambiamenti climatici) e come la Ue si è impegnata a fare, ragion per cui al 2030 bisognerebbe attestarsi già su un – 55%.
La decelerazione nella transizione all’era solare post-fossile, dopo averla guidata sottoscrivendo il Protocollo di Kyoto e approvando il pacchetto di misure «Clima-energia 20, 20, 20», che hanno contribuito ad aumentare, nella Ue, la percentuale di consumi energetici finali coperti dalle rinnovabili, passati dall’8,5% del 2005 al 14,4% del 2012, con la previsione di superare agevolmente il 20% al 2020, ha anche un altro risvolto: la Ue non può rinunciare alla leadership che si è conquistata come battistrada nel cammino verso la de-carbonizzazione, pena la perdita del primato nell’innovazione tecnologica a vantaggio di Cina e Usa, come sottolinea Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club, nel volume Un’altra Europa (a cura di Silvia Zamboni, Edizioni Ambiente, 2014). Da queste politiche passa anche la possibilità di creare nuova occupazione, a cominciare dal potenziale rappresentato dall’efficienza energetica, tipica opzione win-win:
«Con un target vincolante di efficienza energetica molto modesto (30% al 2030) capace di orientare politiche e investimenti nei settori dell’edilizia, dei trasporti, delle politiche urbane e dell’industria», scrive Monica Frassoni nel libro Un’altra Europa «si possono:
a) risparmiare fino a 50 miliardi di euro all’anno, somma equivalente alla vendita di energia elettrica dell’intera Francia nel 2011; b) creare ogni anno 1.500.000 posti di lavoro; c) ridurre del 40% la spesa per le importazioni di risorse energetiche, che nel 2011 ammontavano a 573 miliardi di euro; d) ridurre di circa un terzo le emissioni totali della Ue; e) risparmiare circa 30 miliardi di euro all’anno evitando di costruire nuove infrastrutture”.
Ovviamente non la pensa così la lobby dei fossili, che si è mossa nei mesi scorsi attaccando violentemente gli obiettivi Ue sulle rinnovabili e godendo finora di buon ascolto a Bruxelles, se solo consideriamo la fetta di incentivi di cui hanno beneficiato i fossili: mentre sui media impazzava la guerra alle rinnovabili super sovvenzionate, è emerso che «i sussidi pubblici totali per la produzione energetica nella Ue nel 2011 ammontavano a 26 miliardi di euro per i combustibili fossili (a cui vanno aggiunti 40 miliardi di euro per le spese sanitarie correlate), a 35 miliardi per l’energia nucleare e a 30 miliardi per le energie rinnovabili», annota Frassoni.
Per quanto strategico, il comparto energetico rappresenta però solo una componente di un nuovo corso delle politiche industriali europee in chiave di sostenibilità ambientale e uso razionale delle risorse non rinnovabili. Finora però, di fronte alla crisi dell’area dell’euro, nei provvedimenti presi a livello Ue (Bce esclusa in parte) si è prestata troppa attenzione alle politiche di austerity e troppo poca alla crescita, dando prova – è il rimprovero dell’europarlamentare verde tedesco Reinhard Bütikofer nel libro Un’altra Europa – «di incapacità a trovare una strada europea verso la riduzione sostenibile del debito. Non sarà l’opzione di basso profilo di una deregulation improntata al dumping sociale e ambientale che ci assicurerà la competitività a livello industriale. Né la competitività aumenterà sbarrando le nostre frontiere con nuove norme di protezionismo».
La nuova frontiera europea non può che essere quella di un rilancio dell’economia e dell’occupazione improntato a un Green New Deal all’insegna della ricerca e dell’innovazione eco-tecnologica, abbassando l’Iva su merci particolarmente innovative e prevedendo per i prodotti efficienti un accesso privilegiato agli appalti pubblici, come suggerisce Bütikofer.
Dipenderà adesso dal nuovo Parlamento e dalla nuova Commissione fissare traguardi ambiziosi al 2030, aprendo la strada a quelli ancora più stringenti per il 2050.
Ma anche la Presidenza italiana del Consiglio europeo è chiamata a fare la sua parte. Al governo di Renzi si chiede di porsi alla testa dei paesi che premono maggiormente a favore dell’accelerazione della transizione verso l’era post-fossile, in funzione sia della leadership tecnologica e della competitività dell’industria europea, sia del superamento della crisi economica ed occupazionale, sia della tutela del clima.
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