«Europa 2021», il nostro presente nella materia delle immagini
Cinema Ispirato a Rossellini, il progetto che raccoglie i lavori di De Bernardi, Schivardi, Maresco, Kowalski, Ferraro, Tarr, sarà a «Fuori orario» il 26 in una notte dedicata a Filmmaker
Cinema Ispirato a Rossellini, il progetto che raccoglie i lavori di De Bernardi, Schivardi, Maresco, Kowalski, Ferraro, Tarr, sarà a «Fuori orario» il 26 in una notte dedicata a Filmmaker
Europa 51 di Roberto Rossellini è uno dei film più celebri della storia del cinema. Dancing in the Dark, episodio della serie Frammenti elettrici, è uno dei tanti lavori con i quali Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi hanno scavato nel passato per ritrovare tracce di memoria da ricollocare nell’oggi. A queste due opere, e al loro straordinario sguardo sul presente di quando furono realizzate e che a distanza di tempo mantiene intatta tutta la sua forza, si è ispirata nel titolo e nel senso la sezione Europa 2021 – Dancing in the Dark di Filmmaker di Milano. Cinque brevi film del tutto inediti, commissionati da Filmmaker a altrettanti cineasti e presentati in prima mondiale (per poi approdare venerdì 26 su Raitre a Fuori orario in una notte interamente dedicata alla quarantunesima edizione del festival milanese conclusosi domenica sera che vedrà anche la presentazione di La convocazione di Enrico Maisto, e My Home in Lybia di Martina Melilli — Maisto ha chiuso con il suo nuovo film L’età dell’innocenza l’edizione, Melilli era nel concorso Prospettive con il corto J’ai faim).
CINQUE film più uno, a fare da «introduzione» al progetto: Prologo, che Béla Tarr girò nel 2004 per il film collettivo Visions of Europe, punti di vista sull’Europa che si stava allargando ad altri paesi. La visione di Tarr è cupa e esposta con semplicità assoluta ma di estrema potenza in un gesto filmico che si fa politico nell’uso del piano sequenza, in bianconero, che scorre lateralmente a una folla di persone povere in coda per ricevere, davanti a una finestra da una giovane donna, un sacchetto con del cibo e una bevanda calda. Davanti a quella finestra terminano il piano sequenza e il film. Senza dialoghi, senza suoni in diretta, con una base musicale che accompagna immagini d’immensa attualità se si pensa a quanto accade alle persone più fragili nell’Europa odierna.
Dedicato a Adamo Vergine, filmmaker underground e psicanalista, e suddiviso in capitoli (Il viandante, La commedia umana, Fridays for Future, Vite e destini) che in realtà non sono tali, perché non separano bensì uniscono e aprono prospettive, Il battello ebbro di Tonino De Bernardi esprime con fulminante precisione (qui con il montaggio cesellato di Maicol Casale) tutta la poetica dell’autore nel suo costante fluire (se ne avranno altre testimonianze al Torino Film Festival in un programma a lui dedicato il 30 novembre e il primo dicembre, mentre una retrospettiva gli sarà riservata a fine gennaio al Centre Pompidou di Parigi). Cinema di famiglia, quello del regista torinese, dove la famiglia è il mondo, corpi e luoghi che si cercano e che De Bernardi cerca, assembla, libera, compone scompone ri-compone. Ci sono le persone a lui più care, la moglie Mariella e le figlie Giulietta e Veronica, e quelle che nel tempo si sono aggiunte nell’ambito familiare (tra cui Alberto Momo), e ci sono i nuovi incontri, nuove persone delle quali innamorarsi, da «trascinare» nel corpo delle sue immagini, tutto da filmare sempre con la curiosità, il respiro, lo stupore della prima volta, dell’esordio, ancora e sempre tenendo come lume la «lezione» insuperabile di Stan Brakhage. Ecco quindi, ne Il battello ebbro (titolo meraviglioso perché il cinema di De Bernardi è un’arca di Noè, come dice in Isole di Mario Brenta e Karine de Villiers, e un invito al viaggio ebbro e senza frontiere materiali e mentali), apparire Isabel Ruth che canta Lili Marleen, Carlo Scarrone (che fu critico militante e ora vende libri in una bancarella di Via Po a Torino e che non vuole farsi filmare), una manifestazione di piazza contro Matteo Salvini, Napoli e Anna Maria Ortese (uno dei lavori in corso di De Bernardi su Il mare non bagna Napoli), i luoghi contadini e la campagna tanto amati dall’autore di Piccoli orrori (il cui poster si vede in un’inquadratura casalinga), libri sparsi, da Pavese a Gertrude Stein, e Nuria Schönberg che mostra a De Bernardi foto di famiglia. Altre confluenze e diramazioni.
Everything Burns_Traces, idea e regia dei Motus Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, con Silvia Calderoni e Stefania Tansini danzatrici e R.Y.F. (Francesca Morello) per le canzoni e la musica live, è un segmento/espansione/contrazione del loro spettacolo teatrale Tutto brucia ispirato a Le Troiane di Euripide. Su un palcoscenico avvolto nel buio, in luci lisergiche, «demoniache», corpi di donne si dibattono, a contatto e in conflitto con elementi materici, terra, tende, magmi catramosi, vestiti, sipari rossi, verdi, bastoni luminosi. Il presente esplode in immagini e corpi dalla temperatura incandescente, erotica. Tutto brucia e il pavimento e i dintorni sembrano possedere infiniti strati da scartare e penetrare a mani e corpi nudi (e sorge dalla memoria il teatro e il cinema altrettanto incandescenti che sperimentarono il Nouveau Théâtre di Tunisi negli anni Settanta e Ottanta e il romanzo scorticante e sublime di Walter Siti Bruciare tutto).
LECH KOWALSKI ri-posiziona il suo cinema d’indagine sociale, che si fonda sul documentare situazioni di disagio e ribellione ponendosi in totale prossimità con le persone impegnate in lotte per la difesa di diritti, nel piccolo comune francese di Pantin dove, davanti a una sala chiusa per la pandemia e aperta solo per permettere lo svolgersi di una manifestazione di protesta di cittadini desiderosi di poter tornare a vivere l’esperienza collettiva della visione di un film, davanti alla videocamera del regista polacco donne e uomini, giovani e adulti, parlano della necessità della cultura, dicono cose risapute ma con una naturalezza e un entusiasmo che Kowalski coglie con appassionata partecipazione.
DEL PROGRAMMA fanno parte anche Io e Franco in cui Franco Maresco omaggia Franco Scaldati recuperando tre momenti della loro collaborazione uniti dal lavoro sulla parola e sulla musicalità del dialetto palermitano; Secondo me di Marianna Schivardi, vale a dire la pandemia nelle parole di bambini radunati in un ristorante con la cineasta che li filma ponendo la videocamera alla loro altezza; Recovery Found di Fabrizio Ferraro, serie di brevi scene con diverse andature e stili che tocca corde di un presente anche qui drammatico quando mostra uomini e donne in attesa delle loro sorti in riva a un mare, quegli indesiderati cari al regista.
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