Cultura

Etienne Balibar nell’atelier del popolo europeo

Etienne Balibar nell’atelier del popolo europeoParigi, il movimento di Nuit Debout riunito a Place de la Republique in questi giorni – Foto Reuters

Saggi «Europe, crise et fin?», il nuovo libro del filosofo francese. L’Europa rimane una prospettiva politica se i movimenti sociali imporranno una redistribuzione della ricchezza su base continentale

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 maggio 2016

La raccolta Europe, crise et fin? di Étienne Balibar (Lormon, Le Bord de l’Eau) è composta da articoli redatti tra l’esplodere della crisi del debito greco passando per l’emergenza rifugiati e gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. È indubbio che questi «eventi» abbiano rappresentato un’irruzione di realtà politica che richiama faticosamente l’Europa dalla sua latitanza.

Tuttavia, la «buona» unità dell’Europa, la sua solidarietà, aperta su una crisi geopolitica, sociale e umanitaria di cui si stenta a intravedere soluzioni, non rappresenta certo una descrizione della realtà in cui viviamo. La congiuntura politica presente sembra richiedere che tanto le ragioni della «buona» unità degli Europei, quanto i rischi della loro «cattiva» unità – la governance neoliberale – siano presi sul serio.
Tutto, in questa raccolta di articoli di Balibar, ricorda come la politica viva tra la lunga durata delle sue aspirazioni e la contingenza delle sue emergenze, e come il nostro sia un tempo di mezzo, un gramsciano Interregnum, un tempo in cui il vecchio persiste e il nuovo fatica a nascere. Un tempo in cui il lavoro intellettuale e politico richiedono che la nostra unità non sia postulata ma immaginata e rifondata.

Il nazionalismo di sinistra

Questa scelta politica di non prendere congedo dal tempo presente in nome di soggetti inesistenti, o cedendo ai ricatti di «realtà» attraverso scappatoie regressive, lavora il contributo di Balibar. Anzitutto nello stile che, senza rinunciare al suo carattere filosofico-politico, rivela rapidamente la sua natura d’intervento nell’attualità. In secondo luogo, denunciando le crescenti attitudini nazionaliste che insidiano una parte consistente delle sinistre europee e che appaiono a molti una risposta a quella domanda di effettività che parte della sinistra si ostina a eludere. È quindi necessario chiedersi cosa sia un popolo europeo e quale sia la forma politica che l’Europa può inventare per se stessa. È sul doppio binario di queste domande, che si può ripercorrere, senza pretesa di esaustività, il filo rosso della densa riflessione di Balibar.

Partiamo dalla prima. L’autore condivide la denuncia del ricatto della troika, esplicitata tra gli altri da Jürgen Habermas – piegare l’autonomia del popolo greco in nome della cattiva unità dei popoli europei – ma dissente dalla soluzione formale che vede nella fedeltà ai valori costituzionali europei la leva principale attraverso la quale costruire un’Europa politica. L’Europa è, in primo luogo, una costituzione materiale, un insieme di movimenti, istituzioni e regole a validità giuridica variabile capaci di fornire un terreno reale di conflitto e mediazione politica. L’Europa costituente è, anzitutto questo, giocare il rifiuto del ricatto delle istituzioni europee – o con noi o senza Europa – sul piano dell’esistenza materiale. Tuttavia, suggerisce Balibar, per non lasciare che siano il nazionalismo e le destre a espropriare l’Europa della propria pluralità, è proprio il riconoscimento della molteplicità dei popoli Europei, a dover essere presa sul serio.

Balibar individua quindi, con Ernesto Laclau, la necessità di un populismo di segno inverso a quello nazionalista, un populismo europeista capace di rendere l’Europa nominabile nell’azione politica prima che essa sia capace di dotarsi d’istituzioni pienamente democratiche. Tuttavia, diversamente da quest’ultimo, rifiuta l’idea che il «supplemento democratico» populista debba darsi come un significante vuoto, in modo da essere inclusivo per il maggior numero di soggetti possibili. L’Europa costituente e il populismo democratico devono riconoscere e valorizzare la pluralità effettiva dei popoli di cui la società europea si compone.

Regolazione continentale

Quale può essere dunque il governo all’altezza di questa complessità? Se lo Stato sovrano ha fatto del disordine globale il prezzo del suo ordine domestico, l’Europa, come spazio di libero commercio, privato tanto di una sovranità interna quanto di una capacità di azione congiunta dei suoi popoli all’esterno (Balibar non dimentica come imperialismo, colonialismo e totalitarismo siano state le forme storiche effettive attraverso cui la volontà esterna degli europei si è concretizzata lungo la modernità), rende manifesto, sebbene in forma patologica, il legame sussistente tra funzione geopolitica e democrazia. Continuando a porre il problema delle istituzioni europee nei termini esclusivi di un deficit di legittimità interna, non si coglie come l’accesso del demos europeo alla partecipazione sia inscindibile dalla sua capacità di regolazione dell’economia e di reale protezione sociale tramite una «costruzione budgetaria comune». Tuttavia, proprio quest’aspetto sembra oggi determinare quello scollamento drammatico tra istituzioni transnazionali e governo popolare di cui l’Europa soffre. Rendere visibile il problema e praticabile il conflitto è il terreno su cui la sinistra europea deve situarsi.

Uscire dalle patologie dell’interregno significa quindi rendere visibile l’ambivalenza che lega la società europea, intesa come l’insieme costituente dei suoi popoli, dei suoi movimenti e delle sue istituzioni e le forme di regolazione del mercato, senza le quali questa società non potrà mai dirsi in senso compiuto politica. In questi tempi di seduzioni conservative e di evaporazione della critica nella difesa liberale dei diritti umani, la virtù principale di questo libro consiste probabilmente nella sua capacità d’individuare nella società europea il luogo di sperimentazione istituzionale e di mediazione effettiva tra democrazia e governo.

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