Cultura

Étienne Balibar, l’incessante processo di definizione

Étienne Balibar, l’incessante processo di definizioneBalibar insieme a Judith Butler (Berkeley 2014) foto di Feministstruggles in licenza Creative commons

SAGGI «Filosofie del transindividuale: Spinoza, Marx, Freud», pubblicato da Mimesis

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 18 novembre 2020

Quella del transindividuale è una categoria di analisi intorno alla quale Ètienne Balibar ha costruito un intenso programma di riflessione e di ricerca che va avanti ormai da circa trent’anni. Il filosofo francese, come noto, ha trasformato questo termine chiave del pensiero di Simondon in un strumento teorico in grado di superare opposizioni concettuali come singolarità/totalità, individualismo/organicismo, così da privilegiare e portare in primo piano il problema della relazione nella quale singolo e totalità si costituiscono.

CIÒ CHE È IN GIOCO insomma, nel concetto del transindividuale, è ancora una volta il tentativo di pensare il rapporto tra individuo e società, senza tuttavia porre al centro né l’uno né l’altra ma, appunto, la relazione stessa. Una strategia teorica, dunque, che si configura, ossimoricamente, come un’ontologia della relazione, anti-sostanzialista in grado di tenere insieme «allo stesso tempo l’autonomia degli individui e la loro dipendenza reciproca».

Nei suoi tentativi di rintracciare le coordinate storiche di una filosofia del transindividuale, Balibar ha ripetutamente fatto riferimento al binomio Marx-Spinoza. Il primo per aver immediatamente tematizzato in quanto tale la questione del rapporto sociale e del suo rapporto con la praxis, consegnando la transindividualità alla processualità storica e facendone dunque un incessante processo di definizione, configurazione e metamorfosi aperto a mille possibilità (esemplare, in tal senso, la sua lettura delle Tesi su Feuerbach in cui Marx tenterebbe di definire un concetto di natura umana depurandolo da ogni forma di sostanzialismo).

Spinoza, rappresenterebbe invece il punto di partenza imprescindibile per chiunque voglia tentare di affrontare la questione del transindividuale da un punto di vista ontologico, facendo della natura umana sociale come del conatus individuale un qualcosa di essenzialmente relazionale, trovandosi ad essere «allo stesso tempo cause ed effetti del rapporto sociale in cui ogni individuo si trova sempre già con tutti gli altri».

Nel volume Filosofie del transindividuale: Spinoza, Marx, Freud (Mimesis, pp. 92 pp., euro 8) l’elemento di novità è costituito dall’ingresso di Freud nel novero degli autori che hanno prefigurato una teorizzazione del transindividuale. Frutto di un seminario tenuto da Balibar presso il Corso di Perfezionamento in Teoria Critica della Società (organizzato annualmente da Vittorio Morfino all’Università Bicocca di Milano) il libro offre l’occasione di porre sul tavolo una serie di problematiche e di questioni legate alle modalità con cui viene configurandosi il doppio rifiuto delle astrazioni messo in atto da chiunque tenti di pensare la transindividualità.

Doppio rifiuto che consiste certamente nel non voler localizzare l’essenza umana né «nell’individuo a discapito della comunità», né al contrario «nell’essere sociale a discapito dell’individuo», ma che proprio grazie a Freud è in grado di rivelare la sua natura specificamente inconscia. Esso infatti si configura fin dal principio in maniera radicale, con l’esigenza di inventare una nuova disciplina, la psicanalisi, che sappia rendere conto di tutti quei fenomeni di rimozione, identificazione, transfert che né la psicologia né la sociologia sono in grado di spiegare. E la stessa antitesi dell’individuale e del collettivo appare in Freud come un’antitesi del normale e del patologico, grazie al quale il primato della psicologia individuale viene ribaltato non in favore di un primato sociologico ma a vantaggio «della loro equivalenza» all’interno di una struttura comune.

Secondo Balibar, Freud consente di leggere da una prospettiva transindividuale i processi primari, quelli che fanno aderire il soggetto alle leggi dell’inconscio, senza inibizioni né elaborazioni secondarie: essi sono «meccanismi di difesa contro fenomeni di disaggregazione» che da sempre minacciano internamente la struttura stessa della relazione. L’inconscio diviene così il collante impolitico che fissa gli individui in un conformismo politico collettivo, precipitandoli «nell’elemento incontrollabile di una disgregazione sovversiva e autodistruttiva».

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