Eternit, un processo inutile
Amianto Per la Suprema corte i reati contestati agli imputatai erano tutti già prescritti
Amianto Per la Suprema corte i reati contestati agli imputatai erano tutti già prescritti
L’ultima vittima è morta domenica, una donna di 77 anni, uccisa da quello che a Casale Monferrato chiamano il «mostro», il mesotelioma. Un mostro a infinite teste che non teme prescrizioni. Ma per la giustizia il disastro, che si perpetua ininterrottamente, non esiste: tutto prescritto e senza colpevoli. La Cassazione ieri ha depositato le motivazioni del verdetto del 19 novembre sul processo Eternit, che oltre alla condanna nei confronti del magnate svizzero Stefan Schmidheiny (18 anni per disastro doloso permanente) aveva annullato i risarcimenti alle vittime.
Per la Suprema Corte il processo era morto in partenza e con capi di imputazione sbagliati. Prescritto prima ancora del rinvio a giudizio (2009). «Dall’agosto dell’anno 1993» era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata «definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti». E «da tale data – prosegue la sentenza di 146 pagine – a quella del rinvio e della sentenza di primo grado (2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti» per «la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005», la ex Cirielli. Inoltre, secondo la Cassazione, «la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri» d’amianto «prodotte dagli stabilimenti» gestiti da Schmidheiny e cioè «non oltre il mese di giugno dell’anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento delle società del gruppo», con sedi a Casale Monferrato (provincia di Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Cavagnolo (Torino) e Bagnoli (Napoli).
Bocciata in toto la linea della procura e dei giudici torinesi. L’imputazione di disastro a carico dell’imprenditore svizzero, che ora vive in Costarica, per la Suprema Corte non era la più adatta da applicare, perché si tratterebbe di un reato che non comprende i suoi possibili effetti, come morti e feriti. Contraria «al buon senso». E ancora: «Il Tribunale ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio». E la bonifica di cui Schmidheiny si era infischiato? Abbuonata. Il reato di disastro «non reca traccia di tale obbligo».
Proprio nel giorno della formalizzazione della beffa per le tremila vittime del maxi-processo, la procura di Torino ha chiesto un nuovo rinvio a giudizio per Schmidheiny. L’accusa questa volta è di omicidio volontario aggravato per la morte da amianto, tra il 1989 e il 2014, di 258 persone. «Prendo atto che la Cassazione – ha spiegato il pm Raffaele Guariniello – adotta un’idea di disastro diversa rispetto alla sua pronuncia del 2007 su Porto Marghera a cui ci eravamo ispirati, e per rispetto noi ci atterremo d’ora in poi a questo nuovo concetto di disastro». Secondo l’accusa, nonostante il magnate «sapesse della pericolosità dell’amianto», avrebbe «somministrato comunque fibre della sostanza». Le aggravanti ipotizzate dai pm (con Guariniello, c’è Gianfranco Colace) sono quelle dei motivi abietti, la volontà di profitto, e del mezzo insidioso, l’amianto. Solo 66 delle vittime sono ex lavoratori degli stabilimenti Eternit di Casale e Cavagnolo, mentre tutti gli altri sono cittadini dello stesso territorio.
«Quella della Cassazione è una sentenza anacronistica» sbotta Bruno Pesce, casalese, coordinatore della vertenza amianto e vicepresidente dell’Afeva, l’associazione delle vittime. «Non tiene conto che un disastro come quello dell’amianto non può essere trattato con la filosofia del Codice Rocco (1930), quando poteva essere identificato con un evento delimitato in un dato momento. Si vorrebbe far credere che con la chiusura di uno stabilimento si interrompano anche gli effetti, in questo caso le morti. Noi a Casale aspettiamo il picco nel 2020. Guariniello parlava di disastro permanente non di uno generico». Pesce si rivolge al governo: «Il premier Renzi aveva detto che lo Stato si sarebbe costituito parte civile. Bene. Noi chiediamo, però, che abbia un ruolo attivo e di capofila».
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