Visioni

Essere Eduardo, le leggi profonde e emozionanti del palcoscenico

Essere Eduardo, le leggi profonde e emozionanti del palcoscenicoLino Musella in «Tavola tavola, chiodo chiodo» – foto di Mario Spada

A teatro «Tavola tavola, chiodo chiodo», un lavoro inedito e avvincente interpretato da Lino Musella. Messi in scena appunti, lettere, riflessioni del grande drammaturgo

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 4 dicembre 2021

Il bel film di Mario Martone, Qui rido io, ci ha appena reso espliciti i legami, non solo familiari ma anche artistici, tra Scarpetta e Eduardo, e con il loro teatro. Ora però un sipario di palcoscenico si alza a scoprirci un’altra «discendenza», che emerge prepotente, tra il grande De Filippo e uno dei migliori attori della scena italiana, Lino Musella. Un lavoro inedito e avvincente si rivela infatti Tavola tavola, chiodo chiodo (al Teatro Vascello, ancora oggi e domani), che mette in scena i materiali del grande Eduardo, ovvero appunti, documenti, lettere, discorsi e riflessioni, tutti strettamente attinenti al teatro ma anche all’umanità (e al carattere) di quel grande attore e autore. Per quasi due ore, in maniera instancabile e generosa, Musella ci offre quei testi, e il loro significato, e il loro aspetto materiale e materico, che si trasformano in una appassionata «lezione» sul fare teatro lungo tutto il novecento, e anche dopo, perché regole e passione sono della scena componente primaria e inestinguibile.

ANCHE SE POCHI oggi mostrano di avere il fegato e la lucidità (e la sagacia, e chissà quante altre doti) del grandissimo padre del teatro di Napoli, e quindi d’Italia. Musella non si risparmia, ha studiato in profondità quanto Eduardo ha scritto, elaborato, richiesto e difeso del suo fare ed essere «teatro». E della sua necessità di avere anche un teatro, il glorioso San Ferdinando, per il cui restauro si impegnò e indebitò a lungo. Preferendo quello spazio «mitologico», quasi una caverna platonica, benché in macerie e interamente da ricostruire e rifondare, all’offerta che la politica continuava a proporgli della direzione di un teatro stabile a Napoli, senza però voler mai neppure sentir parlare di un periodo quinquennale, che Eduardo metteva come condizione per dare assetto stabile davvero al proprio lavoro di creazione teatrale. Un tempo lunghissimo e insostenibile però per i volatili favori della politica. Ci sono molti momenti emozionanti nello spettacolo, come certi dialoghi «privati» con se stesso o con i suoi collaboratori (il titolo stesso Tavola tavola, chiodo chiodo cita la lapide che, Eduardo, al San Ferdinando dedicò in ricordo al suo macchinista di una vita, Peppino Mercurio), oppure il messaggio di Luigi Pirandello che dopo aver assistito alla sua rappresentazione de Il berretto a sonagli, disse che nessun altro avrebbe mai potuto interpretare il protagonista Ciampa meglio di lui.

E NON MANCANO sfoghi personali, oppure la dura lettera al ministro dello spettacolo degli anni 50. Ma il piccolo miracolo che in scena si compie, sta nella capacità di Musella di legare e fondere parole e idee con la pratica «manualità» del teatro del maestro, in cui questi eccelleva. Artifici e piccole magie che danno alle parole uno spessore e una concretezza straordinari, fino alla commozione: dalle assi che danno corpo al modellino del teatro desiderato, alle candele che si illuminano sull’inferriata di un balcone di scena. Mentre Marco Vidino fonde con le immagini e le evocazioni le note della sua chitarra, in uno spettacolo di intensità assoluta, di cui Musella è oltre che protagonista autore e regista, da un progetto originale maturato assieme a Tommaso De Filippo, figlio di Luca ed erede di tutta quella memoria. Una bella esperienza per lo spettatore, che non solo penetra nel cuore e nella cultura del grande Eduardo, ma ha modo di conoscere e capire (se non di scoprire) le leggi più profonde ed emozionanti di tutto il teatro.

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