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Espulse da Israele le 13 donne a bordo della Zaytouna

Espulse da Israele le 13 donne a bordo della ZaytounaLa giornalista di al Jazeera, Mina Harballou, una delle 13 donne a bordo della Zaytouna, ieri al suo arrivo a Londra – Freedom Flotilla

Freedom Flotilla Il governo israeliano fa in fretta, per evitare che l'attenzione si concentri sull'azione di forza compiuta contro la "nave delle donne" e sulla condizione di Gaza sotto blocco totale.

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 7 ottobre 2016
Michele GiorgioGERUSALEMME

Ieri sera erano in attesa di essere deportate la premio Nobel per la pace Mairead Maguire e le altre donne della Zaytouna, l’imbarcazione della Coalizione della Freedom Flotilla diretta a Gaza che due giorni fa è stata intercettata e abbordata dalla Marina militare israeliana e quindi costretta a dirigersi al porto di Ashdod. Tel Aviv sembra voler chiudere la vicenda al più presto e senza fare rumore. Forte dell’esperienza fatta in passato, sa che più si parla di queste azioni di forza della sua Marina in acque internazionali e più l’attenzione si concentra sulla condizione di Gaza. È ancora vivo il ricordo dell’arrembaggio israeliano, nel 2010, al traghetto turco Mavi Marmara diretto a Gaza che causò la morte di 10 passeggeri.

Le due giornaliste della tv al Jazeera, che erano a bordo della Zaytouna, sono già state espulse. Una di loro, Mina Harballou, è giunta ieri a Londra. Le altre, ha riferito l’attivista israeliano Dror Feller, hanno incontrato nel carcere di Givon, a Ramle, gli avvocati messi a disposizione dalla Freedom Flotilla. Per quattro detenute, tra cui Mairead Maguire, si prevedeva la deportazione già nel corso della notte. Entro oggi per le altre sette. Sono tutte in buone condizioni e decise, hanno riferito gli avvocati, a denunciare non appena rientreranno nei loro Paesi d’origine quello che descrivono come un «atto di pirateria» compiuto da Israele. Sul quale però non aprono bocca i Paesi occidentali. La presidenza dell’Europarlamento, ad esempio, ieri si è rifiutata di dare la parola al deputato francese Pascal Durand, del gruppo Gruppo Verde/Alleanza libera europea, che intendeva denunciare davanti all’assemblea plenaria quanto è accaduto due giorni fa nelle acque del Mediterraneo orientale.

Anche questa missione della Freedom Flotilla è stata fermata dalla Marina militare israeliana. È comunque servita a riportare, almeno in parte, l’attenzione sulla Striscia di Gaza da anni sotto blocco israelo-egiziano e di cui ormai si parla solo per i lanci sporadici di razzi da parte palestinese e per i raid aerei israeliani. Come se non fosse mai avvenuta l’offensiva militare “Margine protettivo” che nel 2014 ha ucciso circa 2.300 palestinesi e provocato la distruzione totale o parziale di decine di migliaia di abitazioni ed edifici. Negli ultimi giorni, mentre la Zaytouna provava a raggiungere il porto di Gaza city, la tensione è tornata a salire. Anche per la morte di un pilota israeliano precipitato con il suo F-16 in fase di atterraggio al ritorno proprio da un attacco contro Gaza. L’artiglieria israeliana ieri ha aperto di nuovo il fuoco contro presunte “postazioni” del movimento islamico Hamas, in risposta al lancio di razzo palestinese, il secondo in due giorni, verso la regione di Eshkol. Hamas che controlla Gaza dal 2007, attraverso una terza parte avrebbe fatto sapere a Israele di non avere intenzione di andare a un nuovo scontro militare e di ritenere valido l’accordo di tregua dell’agosto 2014. Per questo il movimento islamico sarebbe pronto a tenere sotto controllo i gruppi armati salafiti responsabili di questi lanci occasionali di razzi che scatenano le reazioni di Israele. L’intento di queste cellule, che si proclamano affiliate allo Stato islamico, sembra essere proprio quello di innescare le reazioni israeliane contro i rivali di Hamas.

Nel frattempo a Ramallah, dove l’81enne presidente dell’Anp Abu Mazen ieri è stato ricoverato per qualche ora in ospedale per disturbi cardiaci, si sta valutando la reazione, fortemente contraria, degli Stati Uniti all’annuncio del governo israeliano che sarà costruito un nuovo insediamento ebraico nella Cisgiordania occupata per accogliere i coloni dell’avamposto di Amona che sarà distrutto entro la fine dell’anno per ordine della Corte Suprema. Washington ha accusato il premier Netanyahu di aver tradito la promessa fatta nel 2009 di non costruire altre colonie (intanto ha esteso ampiamente quelle già esistenti). L’Anp considera positiva la condanna americana ma sa anche che l’Amministrazione Obama così come la prossima che uscirà dalle presidenziali del mese prossimo, non muoveranno passi concreti contro Israele.

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