Visioni

Esplorazioni per contrabbasso alla Biennale Musica

Esplorazioni per contrabbasso alla Biennale MusicaDario Calderone – Courtesy of La Biennale di Venezia - foto di A. Avezzù

Festival I due «Riti» del compositore milanese Giorgio Netti eseguiti con perizia da Dario Calderone. Di grande impatto anche l'esibizione della regina ludica del pianoforte Margaret Leng Tan

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 6 ottobre 2018

La Biennale Musica 2018 un risultato l’ha raggiunto: far conoscere più di quanto sia conosciuto in Italia – provincia delle province in fatto di musica – un compositore singolare di grande interesse. Si chiama Giorgio Netti, ha 55 anni, molti li ha trascorsi all’estero. Non nuovo alle scritture per strumenti soli, qui a Venezia affida alla sapiente arte di Dario Calderone due Riti per contrabbasso, anzi il rito intitolato Ur diviso in due parti: U (2015) in prima italiana e R (2018) in prima assoluta. Compositore e contrabbassista hanno lavorato a stretto contatto nell’elaborazione dell’opera. Netti è tipo timido e riservato, Calderone, bello come un dio greco, è estroverso in società e capace di assoluta/rilassata concentrazione nel suonare una musica ultra meditativa/esplorativa.

Sì, in effetti questa musica di Netti è una esplorazione a mente fredda e a mente fervida – dai tempi delle neoavanguardie e dai tempi del cool-jazz sappiamo che il freddo e il fervido si possono identificare – sui possibili campi di suoni attorno a sé. Attorno a un sé molto interiore ma molto proiettato a toccare ulteriori territori sonori e ulteriori stati dell’essere. È come un saggiare il terreno, però da ricercatore navigato. Linee di suoni brevi, punti, sfioramenti, quasi sempre in procedimento monodico. Approcci come esitanti agli episodi in successione e nello stesso tempo approcci carichi di conoscenze acquisite.

Quasi tutto è in piano, il clima di raccoglimento è evidente. Ma il monastico non viene in mente neanche per scherzo. È musica pragmatica ed è musica mondana. Si tratta di processi mentali nell’atto di diventare suono che certo riguardano un solitario che si rivolge a un altro solitario nell’epoca in cui la solitudine diventa risorsa per produrre trasformazioni. Rari gli stacchi o i contrasti. Nella seconda parte domina il walking bass, insomma lo strumento è quasi sempre pizzicato. E con la modalità che la modernità jazzistica ha reso importante da un secolo a questa parte continua questo vagare consapevole. Consapevole che non c’è nessun posto dove andare. Ma, come diceva Deleuze: non si può non essere rivoluzionari anche se sappiamo che le rivoluzioni sono sempre sconfitte.

Il focus contrabbasso. Una bella idea di questa edizione del festival. Forse la migliore. Tre superbi solisti dello strumento – uno strumento che andava in certo senso «rivelato» ai fruitori di musica contemporanea «dotta» – hanno animato tre set dall’esito diverso. Al vertice quello Calderone-Netti. A poca distanza, emozionante, piacevole, quello del solista Florentin Ginot alle prese con lavori di Rebecca Saunders, Liza Lim, George Aperghis, Sebastian Rivas. Rebecca, quanto la amiamo! In Fury (2005) potrebbe sembrare Barry Guy se non fosse per le melodie più accorate. Comincia con suoni lunghi gravi e prosegue con fantastiche, ben dosate, variazioni free. All’ottima contrabbassista Charlotte Testu è toccato il concerto meno riuscito. Basato sul rapporto strumento-dispositivi elettronici. Solo Mutante/Amniótico di Fernando Garnero, in prima assoluta, ha convinto. Una bella e violenta costruzione di suoni-rumori.

Appuntamento con gli amatissimi George Lewis e Sam Pluta, campioni di quella improvvisazione radicale che ci si ostina a tenere fuori dal festival. Scrivono sul pentagramma per un organico severo della tradizione «dotta» come il quartetto d’archi (qui il Mivos Quartet). Ascoltiamo lavori di buon livello, tanto il vivace polifonico Playing with Seeds (2017) di Lewis quanto Chain Reactions/Five Events (2013) di Pluta con lui al laptop impegnato nel trasferire agli archi l’idioma «caotico» della free improvisation. Ma i due autori non riescono a prendere il volo.Eccita al massimo grado Margaret Leng Tan, la regina ludica del pianoforte rivoluzionario. John Cage, Henry Cowell e George Crumb: con lei non saranno mai dei classici, se classici vuol dire consegnati al museo. Loro saranno sempre propulsivi. Di Cowell ci fa sentire deliziosi brani di quando era teen-ager. Di Crumb recentissime (2015) Metamorphoses: suite con puntillismi, impressionismi, decorativismi, ispirata a celebri dipinti, da Van Gogh a Jasper Johns. Irresistibile.

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