The Sun is a Violent Place si apre con la distorsione di un synth che potrebbe sembrare una chitarra, o viceversa, voce e cori che imperversano su palpiti solenni che poi si prosciugano in una chitarra acustica, quasi ad annunciare un album che ha in seno la complessità dell’inquietudine. A sei anni da Silk Around the Marrow esce il terzo album di Dagger Moth, il progetto solista della ferrarese Sara Ardizzoni, già alla chitarra di Massimo Volume, Cesare Basile e Caminanti, un’autoproduzione a tutto tondo – lo trovate solo su Bandcamp, una scelta quindi politica che ci piace – cominciata nel 2020 anche per esorcizzare la reclusione della pandemia. Ma i giorni di isolamento che pure emergono, alla fine restano soltanto come un eco nella biografia dell’album, perché l’esplorazione che compie Ardizzoni è innanzitutto mentale e lirica, ma senza essere dettata dall’urgenza, otto tracce dove (inaspettatamente) la voce dell’autrice spicca in un autunno cupo, come quello che stiamo vivendo.

UNA PRODUZIONE estremamente curata, di forte straniamento e imprevedibilità per i tratti sperimentali che si snodano fra una miscela trip hop, elettro industrial o dark wave. A momenti intimistico con gli arrangiamenti che arrivano in punta di piedi come nel brano Afloat, sfacciato in altri come in Slow Motion Collapse dove all’improvviso entra una base dancefloor che spinge la canzone verso altri reconditi equilibri. Poche ma importanti collaborazioni: Victor Van Gugt (Nick Cave, Pj Harvey) al mix e Fabrizio Baioni (Pp Capovilla e I Cattivi Maestri, Leda, Cirro) ai beats. Sarà interessante scoprire nel live di quali marchingegni si servirà per riprodurre i livelli di arrangiamento presenti nell’album, essendo sola. Ecco, l’ordinata quanto articolata stratificazione che certe volte si spinge verso il caos del rumorismo, nasconde l’attenzione e la consapevolezza all’idea circolare di un disco e dei relativi bpm, concepito per un viaggio con un inizio e una fine, dissociandosi dai podisti dei singoli che oggi tanto funzionano.