Esplorando i tempi difficili in arrivo
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo e che oggi si sofferma sulla Francia: dalla morte dell'editore Éric Hazan al numero finale della rivista «Ligne»
Express La rubrica delle culture che fa il giro del mondo e che oggi si sofferma sulla Francia: dalla morte dell'editore Éric Hazan al numero finale della rivista «Ligne»
Di Éric Hazan, morto il 6 giugno, misericordiosamente in tempo per non vedere il trionfo del Rassemblement national, Enzo Traverso su The New Statesman ha scritto che è stato «forse il più grande editore nella storia della sinistra francese», oltre ad avere lavorato a lungo, nella prima fase della vita, come cardiochirurgo infantile e avere firmato, in età tarda, libri di successo sui temi che lo appassionavano: i movimenti rivoluzionari, l’amata Parigi, l’editoria. Non a caso uno dei primi titoli di La Fabrique, il marchio da lui fondato nel 1998, è stato Editoria senza editori di André Schiffrin (uscito qui per Bollati Boringhieri e di recente riedito da Quodlibet), dove le derive del «mondo del libro» venivano previste e descritte con amara lucidità.
Il catalogo della casa editrice, di cui Hazan era anche redattore, correttore di bozze e ufficio stampa, è fitto di nomi (Alain Badiou, Judith Butler, Nathalie Quintane, Jacques Rancière, Edward Saïd, Slavoj Žižek, Jacques Rancière, Alain Badiou, Daniel Bensaïd, per citarne solo alcuni), e testimonia la presenza dell’editore «tra i più importanti e controversi passeurs di idee degli ultimi due decenni», come ricorda su Libération Quentin Girard.
Muoiono gli editori, muoiono le riviste. Siamo ancora in Francia, dove è uscito da poco il numero finale di Lignes, con una nota d’accompagnamento scritta mesi fa, ma che oggi è perfino inutile commentare: «Ce qui vient («quello che è in arrivo») è il titolo di questo ultimo numero di Lignes, che guarda con preoccupazione al futuro, considerando come quasi inevitabile quello che è in arrivo: questo imminente pericolo politico adesso, qui e ovunque, e gli altri che seguiranno, quello ecologico in particolare – pericoli che riusciamo a immaginare ma che non spetta alla rivista scongiurare (ci vorrebbero ben altri mezzi)». A questo commiato, accompagnato dagli scritti di quaranta collaboratori – tra loro Étienne Balibar, Georges Didi-Huberman, ancora Traverso – e del fondatore Michel Surya, dedica un commento accorato e combattivo la storica Sonia Combe sul bel sito d’informazione culturale En attendant Nadeau: «Esistono riviste la cui scomparsa ha poca importanza. Non è il caso della fine di Lignes, che lamentiamo pur comprendendone le ragioni: c’è la disaffezione verso le riviste cartacee e l’esaurimento di un progetto – nel senso più forte del termine – di fronte a un futuro che non è tale… Lignes non era una rivista militante, ma forniva armi al pensiero. Era una rivista di idee. I giornali di idee sono forse superflui quando l’estrema destra scalpita alla porta?».
A questo interrogativo la studiosa risponde con una frase presa dall’intervento di Traverso: «Il peggio è ineluttabile se restiamo passivi». E così è, anche se – osserva Combe – «bisogna essere incoercibili ottimisti, o ciechi e indifferenti, per non sprofondare nella desolazione».
Scuro, impossibile negarlo, è il paesaggio che ci circonda, e non passa giorno che non ne abbiamo conferma. Una, recentissima, viene dal rapporto sulle «opportunità» e le «sfide» (come si dice oggi) dell’intelligenza artificiale nel settore dei media e dell’intrattenimento. Commissionato da Bertelsmann, il gigante tedesco che domina sull’editoria mondiale, il rapporto – scrive James Fonta su Literary Hub – «è entusiasta, e l’introduzione rivela come gli autori abbiano rinunciato alle loro capacità critiche», dichiarandosi sicuri che l’intelligenza artificiale generativa «darà vita a una nuova era di innovazione, rimodellando questi settori». Manca, commenta Fonta, una domanda importante: «A chi conviene rimodellare questi settori?».
Per fortuna, qualcuno non smette di chiedere. Non è molto, ma di questi tempi non è neanche troppo poco.
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