Visioni

Esodi e leggende fuori dal tempo per inventare un paesaggio di cinema

Esodi e leggende fuori dal tempo per inventare un paesaggio di cinemaUna scena da « Giro di lune tra terra e mare»,Giuseppe M.Gaudino

Cinema Su Mubi l’occasione di rivedere o di scoprire l’esordio folgorante di Gaudino, « Giro di lune tra terra e mare»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 24 dicembre 2022

È un gran bel regalo di Natale poter tornare a vedere uno dei film più originali, densi, luminosi partoriti dal cinema italiano negli anni conclusivi del secolo scorso (e non solo). Si tratta di Giro di lune tra terra e mare (disponibile nella sua versione integrale sulla piattaforma Mubi) che Giuseppe M. Gaudino realizzò nel 1997 firmando il suo esordio nel lungometraggio e tras-portando in esso la poetica d’avanguardia nella quale si immergevano le sue opere precedenti, fin da quella folgorazione assoluta che fu, nel 1984, il mediometraggio Aldis, che aprì la strada alla continua, appassionata e teorica, re-invenzione delle immagini da parte del regista di Pozzuoli.

AUTORE appartato, Gaudino, «antico», che filma con la forza statuaria del cinema muto, con l’illuminazione rapsodica dei gesti iniziati, interrotti e ripresi nel tempo e nello spazio. Cineasta, in questo senso, costruttore di un cinema poco italiano, di una stratificata avventura filmica composta di suoni e rumori, di una polifonia di lingue, di testi che si ritrovano, modificandosi e aggiornandosi nel corso degli anni. Giro di lune tra terra e mare ne è un esempio perfetto, un testo fortunatamente non catalogabile in caselle pre-definite che venne coraggiosamente inserito nel concorso principale della Mostra del cinema di Venezia del 1997 per poi trionfare, agli albori dell’anno seguente, al festival di Rotterdam vincendo uno dei tre Tiger Awards di quella edizione.

All’interno di questo cortocircuito spazio-temporale trovano posto anche materiali di repertorio che interagiscono con la finzione in un film che somiglia a un corpo che li custodisca salvaguardandoli dalla sparizione, dal deterioramento.

Giro di lune tra terra e mare segna il «naturale» approdo al lungometraggio di temi e segni sviluppati a partire dall’inizio degli anni Ottanta con lavori documentari e di finzione (dove queste due macro-strutture vengono ovunque sgretolate dallo sguardo esplosivo di Gaudino) dalle durate «impure», corti e mediometraggi creati per dinamitare convenzioni diegetiche e formali (tra i titoli indelebili ci sono anche Giro di lune, del ’88, «video-trailer» prodotto da Salsomaggiore, ovvero quello che per lungo tempo fu un imprescindibile punto di riferimento per la scoperta di nuovi autori e linguaggi, e un piccolo immenso capolavoro come Calcinacci, del 1990, ideale «prequel» di Giro di lune tra terra e mare).
Parlato in italiano, napoletano e latino, Giro di lune tra terra e mare (il cui titolo contiene un voluto errore ortografico perché, ricorda Gaudino, «non esistono le lune, ma la luna, e tutti volevano che correggessi quell’errore in quanto è più facile riconoscere che non conoscere») è la storia di una città, Pozzuoli, e dei suoi dintorni attraverso i secoli, dove si alternano, in assenza di ordine cronologico, fatti storici, leggende, episodi collocabili negli anni Settanta del ’900 anche se l’intenzione del regista era di «raccontare un oggi diverso, filtrato, senza fornire informazioni dirette». Ed è – accanto alle narrazioni del matricidio di Agrippina ad opera di Nerone, degli oracoli della Sibilla Cumana, del giovane martire cristiano Artema, della guerriera Maria «La Pazza» – la storia di una famiglia costretta all’esodo infinito causato dal terremoto, dalle cicliche fasi di bradisismo presenti nel Golfo.
All’interno di questo cortocircuito spazio-temporale trovano posto anche materiali di repertorio che interagiscono con la finzione in un film che somiglia a un corpo che li custodisca salvaguardandoli dalla sparizione, dal deterioramento (provengono dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico).

A CREARE ulteriori slittamenti sensoriali contribuiscono, oltre alle lunghe scene (che Gaudino avrebbe voluto durassero ancora di più) dentro le quali liberare lo sguardo, i tocchi sonori degli Epsilon Indi. Tutto si incastra e rimette in gioco, posando in ogni anfratto uno sguardo che scava infaticabile un territorio e i corpi che lo hanno abitato e lo abitano.

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