Esistenze ai margini condannate all’infelicità
Al cinema «Ovunque proteggimi» di Bonifacio Angius, che prosegue la disincantata perlustrazione del regista di un’umanità negletta
Al cinema «Ovunque proteggimi» di Bonifacio Angius, che prosegue la disincantata perlustrazione del regista di un’umanità negletta
Fuga e follia. Ma non come vorrebbe Forman, perché la «follia» in Ovunque proteggimi è una questione sociale, più che clinica o esistenziale. Da una parte Alessandro, cinquantenne disilluso che tira tardi la notte a cantare nei locali per avventori distratti. Molta rabbia e pochi sogni, affidati per lo più alla bottiglia e alle slot machine. Dall’altra Francesca, macerie alle spalle e un figlio di cinque anni dato in affido ai servizi sociali.
SU ENTRAMBI pesa lo stigma del fallimento, in una società che giudica, condanna, esclude, ma non assiste. Il loro incontro non può avvenire che nei corridoi di un ospedale, dove si scambiano un po’ di affetto e speranza. Terzo film per Bonifacio Angius che prosegue la disincantata perlustrazione di un’umanità negletta le cui esistenze si consumano ai margini della sua Sardegna.
Molto scritto e un po’ fuori dal tempo, Ovunque proteggimi ha i connotati di un road movie dalla meta incerta e le note melò di un Amelio d’antan. Con un pensiero di fondo che lo attraversa e che era già presente in Perfidia: «La vita è una bugia!», si legge su un biglietto. Un’illusione. Un imbroglio. La vita è solo un inganno che inchioda gli uomini a un destino di infelicità.
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