Associare l’aggettivo vero a uno dei gangli della cultura occidentale è un azzardo concettuale non da poco, eppure il musicologo canadese Cliff Eisen non ha esitato a intitolare il suo ultimo lavoro Il vero Mozart (traduzione di Patrizia Rebulla, Il Saggiatore, pp. 194, € 20,00). Con uno sguardo a volo d’uccello, restituisce la produzione musicale e una minima antologia di lettere e documenti, arricchendo il suo lungo sodalizio con il musicista viennese, di cui aveva già pubblicato le lettere dall’Italia della famiglia, con un lavoro che si colloca a pieno titolo nel genere della «breve storia». Nel titolo del volume è presupposta l’idea di contrastare un’immagine falsa, presunta o fittizia di Mozart, che si ritiene radicata nel nostro immaginario; d’altronde non c’è dubbio che gli scrittori romantici abbiano trovato qui un terreno fertile per accreditare la tesi del genio innato e irresponsabile, segnato dal destino e legato in maniera misteriosa al mondo invisibile e irrazionale.

Eisen cita, all’inizio del libro, il resoconto degli ultimi giorni di Mozart scritto oltre trent’anni dopo, nel 1825, dalla cognata Sophie Weber, dove la morte del maestro è preceduta da immagini che si vogliono significative (la candela che si spegne all’improvviso) mentre il Requiem incompiuto lo ossessiona (Mozart spiega dal letto di morte all’allievo Süssmayr come completare il lavoro), scene che abbiamo visto trapassare nella cultura pop attraverso film come Amadeus di Milos Forman. Il carattere infantile, l’opprimente presenza del padre Leopold, il declino e la povertà degli ultimi anni, l’invidia di Salieri sono alcuni dei cliché, corroborati da qualche passo delle lettere e di altri documenti, che Eisen ci aiuta a situare nella loro giusta prospettiva, inserendo ogni dettaglio nel contesto storico e culturale nel quale agiva un musicista eccezionalmente dotato alla fine del Settecento.

Tre le fasi essenziali della vicenda umana e artistica di Mozart: i grandi viaggi in Europa, il periodo di Salisburgo e gli anni finali viennesi. Rimane in sospeso la domanda di Pilato: quid est veritas. Eisen è certamente uno degli studiosi più qualificati per rispondere; non quanto il compianto H. C. Robbins Landon, probabilmente, ma con una militanza abbastanza lunga negli studi sui due Mozart, padre e figlio, da garantire un quadro attendibile. Il punto però è un altro. Ammesso che si possa stabilire in modo soddisfacente la dialettica del rapporto di Mozart col padre (e quello con la madre, di cui conosciamo infinitamente meno?), la profondità del suo sentimento religioso, il grado di felicità della sua vita coniugale o la frustrazione per il mediocre mondo di Salisburgo, è davvero indispensabile la conoscenza dell’uomo per capire la forza espressiva della sua musica, la sua capacità d’interpretare con leggerezza i lati oscuri e ambigui del cuore umano, il suo potere d’interrogarci ancora oggi su tante questioni senza risposta?

In altre parole, sarà poi vero, a proposito di presupposti metafisici, «che la vita e la musica di un compositore non siano separabili ma costituiscano un tutto irrinunciabilmente integrato», come si legge nell’introduzione?

L’equazione arte uguale vita ha perso gran parte della sua solidità dopo l’attacco di Proust a Saint-Beuve e al suo metodo, fondato sulla convinzione che per giudicare un libro bisognasse sapere tutto di uno scrittore, abitudini, vizi, virtù. Per Proust, come si sa, l’opera è il prodotto di un Io altro da quello che si manifesta nella vita sociale: l’artista e l’uomo appartengono a due mondi separati. Ed è proprio nel seguire il modello ottocentesco del racconto delle opere attraverso la vita, come fa del resto la stragrande maggioranza delle monografie dedicate ai musicisti, che la ricostruzione di Eisen mostra la corda.

Quando cerca di trasferire sulla produzione artistica l’immagine di Mozart – sbalzata così bene nelle pagine fresche, vivaci e illuminanti, corredate inoltre da un apparato iconografico ben selezionato – la materia resiste, e il piede affonda in una fanghiglia tecnica e specialistica che appesantisce la lettura e non aiuta a mettere a fuoco i colori della musica. All’apparir del vero, tu misera immagine dell’ermeneutica musicale cadesti.