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Erratico e spiazzante, il Faust metafisico di Nikolaus Lenau sfida Goethe

Erratico e spiazzante, il Faust metafisico di Nikolaus Lenau sfida GoetheFabio Cipolla, Scena dal Faust di Charles Gounod, 1900 ca.

Scrittori tedeschi Due nuove edizioni: carbonio attualizza la traduzione di Marietti; Le Cáriti ritraduce a cura di Simonetta Carusi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 luglio 2022

Sebbene Nikolaus Lenau sia considerato un esponente della «poesia del dolore», un’anima fragile abbandonata al mal di vivere e a una invadente depressione, è stato in realtà un combattente e, nel suo nome aristocratico di Nikolaus Franz Niembsch von Strehlenau, c’è una storia mitteleuropea di orgoglio asburgico, di inquietudine esistenziale e di marginalità territoriale.

Irrequietezza e nomadismo lo caratterizzano negli spostamenti continui, negli studi confusi, nelle speculazioni fallimentari che promettevano di riassestare il patrimonio familiare, negli amori senza calcolo, ma anche senza discernimento.

Trovò nel 1829 un rifugio precario in Svevia tra i poeti romantici della scuola di Stoccarda e qui pubblicò le sue prime malinconiche e passionali poesie, Gedichte, nel 1831; subito dopo salpò per l’America seguendo gli entusiasmi di Gottfried Duden e Karl Anton Postl, il poeta tedesco che avrebbe scritto dal vecchio e dal nuovo mondo con lo pseudonimo di Charles Seasfield. Voleva «istruire la fantasia alla scuola della foresta vergine americana», e sognava una vita assennata da latifondista, ma l’anno seguente tornò in Germania, deluso da una utopia americana diventata banale distopia mercantile. Al cognato scriveva: «La loro rozzezza, tuttavia, non è la rozzezza di nature selvagge e forti, no, è una rozzezza addomesticata, e quindi doppiamente disgustosa».

Lo deluse anche la conclusione borghese del Faust goethiano, stampato da Cotta nel 1833, a un anno dalla morte dell’autore. L’approdo alla ragionevolezza di quella grandiosa figura letteraria sembrò intollerabile a Lenau che, dopo l’esperienza da capitalista illuminato in Pennsylvania, non credeva più che l’umanità potesse essere salvata dal capitalismo filantropico.

Sfrontato e cupo decise di rispondere con un testo coraggioso, fidando sul grande successo delle sue prime liriche e su una triangolazione mistica e poetica con Novalis oggetto di un fitto e segreto dialogo sulle possibilità di salvezza di un mondo abitato dalla poesia e, soprattutto, sul residuo valore del cattolicesimo, nelle sue derive più mistiche ed estatiche.

Nella lettera dell’11 novembre 1833 all’amico Georg Reinbeck si dichiarò pronto alla sfida poetica: «l’idea che Goethe ha già scritto un Faust non può spaventarmi. Faust è un comune possesso dell’umanità, non un monopolio di Goethe. Non si dovrebbe, allora, scrivere più alcuna poesia sulla luna, perché questo o quel grande poeta l’ha già fatto?». Decise comunque di non polemizzare con il poeta scomparso. Senza citarlo né criticarlo, si mise al lavoro per confutarlo, compagno di strada di molti poeti romantici che si lasciano ispirare dalla figura cinquecentesca del dr. Johann Faust, da Heine, a Tieck, a Chamisso, Arnim e Brentano, fino a Grabbe e a Grillparzer.

Scelse per il suo Faust un genere modernissimo, il poema drammatico alla Byron, come il Manfred ricco di elementi metafisici, pronto ad accogliere una fitta tessitura letteraria e, come scriveva l’autore inglese, «del tutto impossibile per la scena»: un testo erratico e spiazzante in versi liberi, diviso in 24 quadri, con pagine epiche, dialoghi, squarci decisamente teatrali, intensi momenti lirici, incursioni satiriche in cui l’impotenza e l’indecifrabilità rappresentano filo rosso nel mutare vorticoso e fantasioso di esperienze, ambienti e stati d’animo di personaggi vecchi e nuovi. Era inoltre così musicale che il conterraneo Liszt compose Due episodi dal Faust di Lenau per orchestra traendo dal secondo, La danza nella locanda, il notissimo Mephisto-valzer n. 1 per pianoforte.

Bellissimo e complicato, il Faust di Lenau viene riproposto, dopo anni di silenzio, quasi contemporaneamente da due case editrici indipendenti: Carbonio ha riedito e, in parte, attualizzato la bella edizione Marietti a cura di Alberto Cattoi del 1985 (con apparati però un po’ datati, pp. 260, € 16,00), mentre Le Cáriti ha commissionato una nuova traduzione a Simonetta Carusi, che aderisce fedele e musicale alla erranza stilistica del poema (sua anche l’introduzione, pp. 235, € 38,00).

Quello di Lenau è un corpo a corpo ossessivo e disperato non solo con Goethe, ma con tutta la cultura tedesca del primo Ottocento in una tessitura ricchissima e sfuggente che l’autore declina caparbio nel segno dell’impotenza. Soprattutto Novalis amato per il suo romanzo antigoethiano e contestato per la concezione fichtiana della natura e per le consolazioni cristologiche degli Inni alla notte. Lungo è comunque l’elenco dei pensatori del tempo con i quali dialoga o duella: da von Baader mutua nozioni cabbalistiche, a partire dalla idea centrale della «caduta» di Dio, senza possibilità però di riscatto nel caos della creazione e il tema sconvolgente del ‘silenzio di Dio’ radicale in Lenau fino all’eresia: quel «non trovare, fuori, altro che silenzio di morte// E una ostinata volontà di rifiutarsi in eterno»; la sua scrittura intercetta inoltre le influenze mistiche di Martensen (nella seconda edizione del poema del 1840) e quelle esoteriche e spiritualiste di von Schubert.

Al centro del testo si fa largo anche un impegno politico aristocratico e libertario: a Mefistofele, il Ministro (controfigura dell’odiato Metternich) chiede come «vessare il popolo» e come impedire quel pensiero che «vagabondo senza freni si dirige/ Verso remoti e nebulosi territori». Graditissima la risposta di un ridicolo Mefistofele: «Il popolo si illude volentieri/ E alla fine è tutto soddisfatto/ E nella sudditanza si accontenta/ Se la benevolenza del tiranno/ Gli accorda ciò che pur potrebbe avere/ Senza un sovrano e senza le catene». Spie, censura, rigore poliziesco, una losca alleanza con la Chiesa corrotta e dispotica – tema questo articolato con delusione e disprezzo in altri due poemi drammatici, Savonarola e gli Abigesi – fanno da corollario a tanta orribile saggezza.

Infinite le diversità dal ‘modello’ goethiano anche se non possono mancare viaggi, osterie, ardore erotico, tradimenti e omicidi. Spiccano per infedeltà il carattere contemporaneo di situazioni e personaggi, la miserabile e grottesca figura ‘borghese’ di Mefistofele con le sue «magie farsesche», il fatto che Faust non sia solo uno studioso che «con audacia indagatrice / mirava solo agli astri più lontani», ma un Wanderer, un errante che cerca romanticamente risposte nel silenzio delle vette: «L’urgente bisogno di una risposta/ Lo induce ad inerpicarsi per balze e rupi scoscese».

Diverso anche l’oggetto del patto. Se l’antico Faust vuole conoscere la vita, disposto a vendere l’anima per godere di tutti i suoi doni, il tetro protagonista di Lenau sembra ossessionato dal legame oscuro e indissolubile tra vita e morte, materia e spirito, tra l’uomo e il sogno per evocare la accentuata evocazione plotiniana del testo che alla fine, radicalmente ribaltata, indurrà il protagonista al suicidio: «Troppo angosciato e fosco per essere reale/ Io sono un sogno, e sfuggo al tuo potere!/ Io sono un sogno che brama pecca e soffre, / E in sogno mi pugnalo dritto al cuore».

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