Eros e malinconia: inverosimiglianze di Francesco Permunian, dalla Valpadana
Scrittori italiani «Teatri minimi della Valpadana», da Quodlibet
Scrittori italiani «Teatri minimi della Valpadana», da Quodlibet
A partire dall’esordio nel 1999 con Cronaca di un servo felice, pubblicato dalla oggi scomparsa Meridianozero, Francesco Permunian si è mantenuto fedele alla passione con la quale esplora i luoghi oscuri del quotidiano, di cui, con crudeltà, mette in evidenza le storture e le ordinarie follie. Un risultato significativo di questa sua attitudine è Elogio dell’aberrazione (Ponte alle Grazie, 2022), lungo monologo di Tito Maria Imperiale (più noto nei territori del Garda, in cui abita, come el sior Titin, per la sua bassa statura) mentre intorno al lago si susseguono i ciak per un surreale sequel di Salò di Pasolini.
Ora Quodlibet manda in libreria il felice Teatri minimi della Valpadana (pp. 176, € 15,00) raccolta di racconti colorita (e spesso esilarante), sottotitolata: «trentuno drammi & drammetti pubblici e privati». Una serie di aneddoti truculenti e ribaldi – in veste di monologo di Florestano Fregoso Del Cedro, già agente di commercio, che analizza con passione gli elementi più assurdi del mondo in cui si trova a vivere – restituiscono una provincia che si nutre di pettegolezzi e rancori (con qualche pagina di conversazione da bar e da ristorante che sarebbe piaciuta anche al Piero Chiara più maligno de La spartizione).
La serie ha inizio con «Tra sguattere e regine», in cui si narrano le vicende di Jolanda Maria Rabagliati, che nel suo ristorante rivela segreti della comunità, inventando di sana pianta accidenti inverosimili, come il fatto che una pecora sia stata messa incinta da un pastore solitario. In «Fertilizzanti» la voce narrante viene minacciata di notte da un ricattatore che lo scambia per uno stimato cardiologo; nei «Paria della creazione» compare su una polverosa strada di campagna un bambino macrocefalo, con i piedi da capro e un membro fuori misura. Sovente (ad esempio in «Dame d’antan e cavalier serventi») l’eros è argomento primo, che si tratti di bei ragazzi neri con compiti da gigolò o di commendatori che danno in smanie fino alla tarda età. La seconda parte del libro, dal titolo «Sotto il cedro del Libano» introduce note tristi, nel ricordo di antichi amori, ricordo che subito diventa occasione per una scorribanda assai pungente sul lessico della passione, come nel notevole racconto: «Tre donne, Tristana, Eupilia e Marfisa». Permunian è abile nella definizione di un mondo piccolo, claustrofobico, ossessionato dalle proprie regole e dalle proprie tradizioni. A sovrintendere a queste scritture tragicomiche e brillanti sono due citazioni, una di Michel Foucault, l’altra di Céline, che in una lettera a Jean Paulhan afferma categoricamente di detestare a morte «la gente che non ha il fisico per trasporre emotivamente. Bestie ignoranti, bestie manierate e alambiccate, sentenzianti». Ancora più interessante una comparsa di Elfriede Jelinek, che dice: «scrivo come parlo», indicazione utile anche per questi teatrini padani, nutriti dal tono della conversazione e dei suoi mille travestimenti.
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