Cultura

Eros e angoscia, il prisma narrativo di Singer

Eros e angoscia, il prisma narrativo di SingerBiłgoraj, Isaac Bashevis Singer memorial

Saggi «Un inafferrabile momento di felicità. Eros e sopravvivenza in Isaac B. Singer» di Fiona Shelly Diwan (per Guerini e Associati)

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 marzo 2022

Come ha più volte affermato egli stesso, ad affascinare Isaac Bashevis Singer (1904 -1991) sono state le passioni nutrite dagli esseri umani, le spinte suscitate dalle loro emozioni, le sterminate superfici carnali, le infinite sfaccettature e tensioni che caratterizzano le relazioni tra i sessi. L’idea che vede nell’eros l’unica fiamma in grado di illuminare l’esistenza dell’individuo svolge pertanto, nell’ambito della sua opera, un ruolo fondamentale.

I TANTI ESULI che, sopravvissuti alla Shoah e approdati fortunosamente a New York, ne popolano le narrazioni, si scoprono preda di un lancinante mal di vivere: riusciranno dunque a trovare pace solo nella vitalità amorosa giacché, ai loro occhi, la pulsione erotica e il suo soddisfacimento diventa l’unico modo per mitigare temporaneamente il sentimento di perdita e angoscia legato alla permanenza terrena.
Traumi subiti e da elaborare, slanci passionali che Fiona Shelly Diwan sottopone alla propria indagine in questo saggio dal titolo Un inafferrabile momento di felicità. Eros e sopravvivenza in Isaac B. Singer (Guerini e Associati, pp. 278, euro 24).

La studiosa individua lucidamente i temi cari al romanziere – il lacerante universo femminile, il bellicoso rapporto con dio, l’estremo autobiografismo – che, in quanto tali, si trovano sovente al centro del suo interesse; non trascura però di aggiungervi la nostalgia dello shtetl, un mondo annientato dai nazisti che egli richiama in vita tanto utilizzando lo yiddish della propria infanzia – una «lingua di fantasmi», la definirà in seguito – quanto costruendo personaggi il cui egocentrismo trova sfogo in un insaziabile appetito carnale: una fame volta forse a nascondere il senso di colpa di chi, in maniera spesso del tutto casuale, è scampato all’inimmaginabile e se ne vergogna.

Certo, Singer non ha mancato di evidenziare il nichilismo e il senso di incertezza che hanno contraddistinto la nuova generazione di ebrei americani; come ne ha messo in rilievo la virilità bulimica, gli impulsi distruttivi, l’ironia, il senso dell’umorismo: tutti elementi che – secondo l’autrice – egli colloca in una dimensione spirituale poiché appare da sempre intenzionato a porre l’accento sull’aspetto mistico dell’esperienza umana.

RIGUARDO poi al versante stilistico, occorre sottolineare come il narratore si riveli capace di utilizzare i diversi registri espressivi e di plasmare una lingua, dal lessico opulento, stratificata e ricca di sfumature. Non va inoltre dimenticato il suo eclettismo, che gli ha consentito di passare con disinvoltura dal romanzo alla riflessione filosofica, dall’intervento di occasione al racconto, dalle storie per bambini ai commenti politici senza che la qualità della sua opera ne risentisse.
In conclusione: mescolando la tragedia alla farsa, Singer ci restituisce la complessità dell’individuo, perennemente in bilico tra le sue tante facce, miserie e contraddizioni. È allora difficile non condividere le parole di Fiona Shelly Diwan, quando scrive: «La sua voce ci raggiunge attraverso i decenni, la modernità della sua ironia e l’orizzonte metafisico dei suoi eroi ci trafiggono, oggi come ieri».
Un autore capace di andare ben oltre le mode letterarie e che resta dunque – nel senso nietzschiano dell’aggettivo – magnificamente «inattuale».

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