Cultura

Ernesto Franco, una direzione dolce nelle stanze Einaudi

Ernesto Franco, una direzione dolce nelle stanze EinaudiErnesto Franco

Ritratti Addio allo scrittore e direttore generale della casa editrice torinese di via Biancamano. Ispanista, stava lavorando a un Meridiano su Octavio Paz. Fra i suoi libri, «Isolario» (1994), «Vite senza fine» (1999), «Storie fantastiche di isole vere». A novembre, uscirà sempre per Einaudi, la silloge «Lontano io»

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 12 settembre 2024

Non è difficile spiegare chi era Ernesto Franco. Come tutte le persone che contano veramente è stato, nel campo editoriale, un uomo di potere che non aveva i vezzi dell’uomo di potere. Un galantuomo senza mezzi termini. E l’espressione di come si possa esercitare il mestiere dell’editoria in quanto sistema per costruire cittadinanza.

QUANDO, negli anni novanta, fu incaricato di traghettare la casa editrice Einaudi, in profonda crisi di identità, oltre le secche del mito di se stessa, lui fece quello che andava fatto: rinnovare, circondarsi di forze giovani, rischiare, abitare nel presente, non dimenticare mai che una tradizione serve se contribuisce all’evoluzione e non all’immobilismo. Lo sapeva bene Ernesto Franco che da uomo di cultura declinava la cultura come uno dei punti salienti del Sistema Paese. Chiunque si sarebbe fatto soverchiare dal timore di guidare la nave ammiraglia di via Biancamano, ma non lui che credeva fermamente nella capacità di sintesi che deriva dall’essere un direttore editoriale che era innanzitutto un immenso lettore. E dall’essere un immenso lettore che concepiva quell’attività come una delle più importanti per definire lo spessore di un progetto o di un pensiero.
Con la sua direzione, l’Einaudi è diventata quella che oggi noi tutti conosciamo e che ci illudiamo sia sempre stata. E questo risultato di rivoluzione dolce, di discontinuità nella continuità, di discrezione nell’efficacia, di forza nella mitezza, sono le cose che ci mancheranno di lui. Il suo primo risultato è stato quello di circondarsi delle persone giuste al posto giusto. Un grande capo è quello che sa scegliere i propri collaboratori.

CON ERNESTO FRANCO casa Einaudi passa dall’essere uno straordinario campo di battaglia per prime donne, a un «sistema famiglia» dove coesione e intenti comuni, che certo non sono esenti da attriti, diventino punti di riferimento ineludibili. Due progetti apparentemente contrapposti lo definiscono: da una parte il varo di Stile Libero, pensato da Severino Cesari e Paolo Repetti, che i detrattori videro come un versante cheap, e romano, della casa madre torinese e che invece Franco appoggiò senza indugi intravedendo prima di molti il potere innovativo di un settore che aprisse le porte alle nuove scritture e provocasse il lettore con la dimostrazione che la letteratura di consumo poteva essere alta letteratura; e la «resurrezione» degli Struzzi, che da gloriosa collana del passato, seppe riproporre a partire dal suo valore intrinseco di saggistica sublime che, proposta con le scelte giuste, poteva non sottostare alle forche caudine del mercato.
Sotto la sua direzione, la narrativa straniera Einaudi venne affidata a Andrea Canobbio e si confermò come il territorio della più importante proposta letteraria proveniente da ogni parte del mondo: molti dei recenti premi Nobel per la letteratura, sono parte del catalogo di Einaudi. Grazie a Ernesto Franco, e allo straordinario lavoro di Paola Gallo, che nell’ultimo anno gli è succeduta alla direzione editoriale, e Dalia Oggero, essere scrittori italiani in Italia non ha rappresentato quel problema che è stato a lungo per la nostra editoria. I Coralli e i Supercoralli sono diventati la casa di una generazione di autori che hanno conquistato lettori e riconoscimenti, che hanno cioè abitato quel miracolo di fare mercato senza mai offendere il lettore.

LE VELE, OPERA VIVA: i Tascabili, si sono trasformati in veicoli ad alta prestazione culturale, con prezzi accessibili, grazie allo straordinario lavoro di Andrea Bosco e Maria Teresa Polidoro. I risultati non si sono fatti attendere, la Einaudi ha mantenuto la sua integrità e contemporaneamente ha coinvolto il pubblico dei lettori andandoli a cercare dove una mentalità elitaria non li avrebbe mai intercettati.
Ernesto Franco ha difeso l’Einaudi dalle possibilità di snaturamento senza rinunciare a farsi popolare nel senso più alto del termine. Che è l’unico senso che questo termine dovrebbe avere specialmente in un paese che sacrifica quotidianamente la complessità in nome di una semplificazione spesso mortificante. Anche per questa ragione collane tradizionalmente in perdita, come quella di Teatro e di Poesia, con la sua conduzione e la supervisione di Mauro Bersani, sono diventate isole ubertose nel panorama dell’editoria nostrana.
Ernesto amava smisuratamente le isole. È stato un conciliatore senza una briciola di debolezza.

QUANDO CI FU LA POLEMICA sul rifiuto che Einaudi destinò al pamphlet antiberlusconiano di Saramago, Ernesto Franco, che Saramago lo conosceva bene, e lo amava come lo scrittore straordinario che era, spiegò che quel rifiuto derivava semplicemente dal fatto che quel testo non era all’altezza di chi lo aveva scritto. Fuori dalla giusta distanza. Succede anche ai migliori, succede anche ai geni come Saramago.
Da tempo, Franco stava lavorando a un Meridiano su Octavio Paz, che vedrà la luce presto. In questa famiglia che ha fatto lavorare in un sistema di autonomia condivisa consiste il successo della sua conduzione della Einaudi, ma soprattutto il modello che questo indimenticabile uomo di cultura ha imposto nel suo campo. Con dolcezza. Buon viaggio Ernesto.

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