Ernesto Franco, un congedo in versi, tessuto di «vizi e tremori»
Scrittori italiani Da Einaudi: «Lontano io», nella Collezione di poesia, e «Usodimare», riproposto nei tascabili
Scrittori italiani Da Einaudi: «Lontano io», nella Collezione di poesia, e «Usodimare», riproposto nei tascabili
A pochi mesi dalla scomparsa di Ernesto Franco arriva questo suo ultimo libro di versi, Lontano io (Einaudi, 2024, pp. 128, € 12,00), che restituisce la sua voce nella forma di un congedo dall’esistenza. Il titolo, come osserva Mauro Bersani, «suona come una previsione, un saluto, un lascito». Annuncia il distacco dalla vita in direzione di un altrove remoto, dove gli affetti vacillano e sopravvive solo qualche memoria ostinatamente tenace. Come una postrema reincarnazione del capitano che dà il nome a un vecchio romanzo di Franco appena ristampato – Usodimare (Einaudi, pp. 84, € 10,00), l’Io di questo volume, «un’opera viva che con gli anni diventa un catalogo di tremori e di vizi con quel loro ritmo inconfondibile che le religioni chiamano anima», intraprende il viaggio finale verso una meta indecifrabile. Le prime tre sezioni delle cinque in cui questo piccolo libro si divide, ognuna delle quali delimita il legame da cui si indica la separazione, si ricollegano alla città natale, Genova, e ai pronomi essenziali di ogni relazione: te, me, l’altro. La casella finale ingloba il testo più lungo e più drammatico, che ha per titolo Aiutami ed è l’invocazione disperata di una voce femminile che chiede di essere liberata dal dolore. Bloccata in questa pena, appare l’ombra di Fulvia, la prima moglie di Franco, alla cui memoria questa implorazione è dedicata.
La maggior parte dei testi non va oltre una strofa di pochi versi. Ognuno di essi è simile a un’illuminazione, che si organizza in un frammento poetico. Poche battute servono per definire quello che conta e quali tracce di un’esistenza la memoria conserva. Per esempio «Genova vale un vento, / vale un’ipotesi al netto, /il nostro scontento, /la protesi di quanto ti ho detto». Il vento, come nel vocabolario montaliano, è l’indice della temporalità che trascina via qualunque emozione e prosciuga la vita. La frequenza con cui l’immagine ritorna ne fa l’emblema della caducità, che avvolge in un giro solo nascita e morte: «Il vento dentro / come un vagito, / Genova avara e mite; / il vento fra le salite, / che resiste al mito, / che sala le ferite». Le rime, quando compaiono, fissano gli assi su cui il pensiero si muove, disegnando l’evoluzione di affetti e di legami. Il ciclo di un amore, per esempio, si riassume nella successione di verbi collegati l’uno con l’altro in fine di verso: «Un nome mi chiama, / un corpo mi ama, / un vento mi trama». L’evoluzione dall’innamoramento all’indifferenza si racchiude nel passaggio da chiama a trama passando per ama, incapsulato tra gli altri due verbi. In un altro contesto lo scorrere degli anni diventa angosciante attraverso il passaggio da il tempo stringe a il corpo stinge. Un dolore mostra la sua accresciuta intensità congiungendo Solo ieri faceva male con sulle ferite, oggi, solo sale. Con estrema economia formale, Franco evoca i turbamenti che accompagnano l’Io nel proprio congedo e ne fa memoria e linguaggio.
Gottfried Benn, in una conferenza sui problemi della lirica, scritta nel 1951 osserva che «anche i filosofi odierni sembrerebbero voler, nel loro fondo, poetare. Sentono che è finita per il pensiero discorsivo, sistematico. La coscienza sopporta per il momento solo qualche cosa che pensi in frammenti, le meditazioni di cinquecento pagine sulla verità, per quanto esatte possano essere alcune frasi, vengono bilanciate da una poesia di tre strofe». Se il pensiero discorsivo si incarna nei frammenti, un testo poetico, con maggiore vigore, può condensare in pochi versi «le meditazioni di cinquecento pagine sulla verità». Le parole della poesia agiscono come reagenti poderosi. Svelano, con il loro ritmo e con la forza delle immagini, connessioni inattese tra un evento e un altro. Suscitano pensieri ignorati o sopiti, che tornano a galla, appaiono e acquistano peso. Rainer Maria Rilke, in un luogo capitale dei Quaderni di Malte Laurids Brigge, afferma perentoriamente che la poesia non si fa con i sentimenti ma con le esperienze e queste esperienze diventano espressione, ritmo, forma. Anche l’avventura lirica di Ernesto Franco è forse, dunque, già nei pochi frammenti di Lontano io.
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