Cultura

Eric Auerbach scrive a Walter Benjamin

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Tempi presenti Lieber Herr Benjamin, grazie molte della sua lettera e del saggio di sociologia del linguaggio, che avevo già velocemente visto nella rivista che si trova presso l’istituto locale di economia […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 7 marzo 2015

Lieber Herr Benjamin, grazie molte della sua lettera e del saggio di sociologia del linguaggio, che avevo già velocemente visto nella rivista che si trova presso l’istituto locale di economia nazionale, attendiamo con piacere il suo libro.

Anche qui succedo a Spitzer, che è andato a Baltimora. È a lui, a Croce e a Vossler che devo essere grato per questa soluzione, che non è stata facile da raggiungere, poiché almeno 7 compagni di destino, e diversi ministri europei della cultura, soprattutto quello tedesco e quello francese, non vedevano di buon occhio la mia candidatura. Sp mi ha lasciato 7 assistenti tedeschi, di cui 6 di origine cristiana, tutti emigrati nel 1933, ognuno a modo suo eccellente, e tutti legati nel modo più piacevole da un destino comune e dalla stessa attività. Qui insegniamo tutte le filologie europee, romanistica, anglistica, filologia classica, germanistica, cerchiamo di influenzare la natura della didattica e della biblioteca e di europeizzare il sistema di gestione, dall’orario al catalogo cartaceo. Naturalmente è assurdo, ma i turchi vogliono così, benché a volte poi tentino di porre degli ostacoli.

Finora, di questo paese conosco solo Istanbul, una città in una posizione meravigliosa, e tuttavia poco amabile, scostante, e che si divide in due parti: l’antica Stambuol, di origine greca e turca, che conserva ancora molta della patina del paesaggio storico, e la «nuova» Pera, caricatura e perfezionamento di una colonia europea del XIX secolo, ora in totale declino. Lì vi sono i resti di orribili negozi di lusso, ebrei, greci, armeni, tutte le lingue, una vita sociale grottesca e i palazzi delle ambasciate europee di una volta, che ora sono consolati.

Del XIX secolo si vedono anche, ovunque sul Bosforo, palazzi in rovina, di sultani o pascià, rimasti là come fossero musei, di gusto mezzo orientale, mezzo rococò. Ma del resto il paese è governato con coerenza e totale controllo da Ataturk e dai suoi turchi anatolici, gente ingenua e sospettosa; sono onesti, un po’ lasciati a se stessi; contadini, e anche dotati di buon senso. Perché oltre a ciò son più duri e più scortesi, meno amabili, più inflessibili degli europei meridionali, e tuttavia simpatici e dotati di molte forze vitali, in quanto abituati alla schiavitù e a un lavoro duro ma lento. Il grande capo è un simpatico autocrate, intelligente, generoso e spiritoso, totalmente diverso dai suoi colleghi europei: per come ha davvero reso questo stesso paese uno stato, e anche per come è totalmente privo di retorica, il suo libro inizia con la frase «il 19 maggio 1919 arrivai a Samsun: A quel tempo la situazione era la seguente…». Ma tutto quel che ha fatto, l’ha dovuto portare avanti in lotta con le democrazie europee da una parte e il sultanato maomettano panislamico dall’altra, e il risultato è un fanatico nazionalismo antitradizionalista: rifiuto della tradizione culturale islamica esistente, riferimento a una immaginaria originarietà turca, modernizzazione tecnica in senso europeo, per combattere l’odiata e invidiata Europa con le proprie armi: da qui la predilezione per gli emigrati di formazione europea, dai quali si può imparare senza dover temere la propaganda estera. Risultato: nazionalismo al grado superlativo, insieme alla distruzione del carattere storico nazionale.

Questo quadro, che negli altri paesi, come la Germania, l’Italia e la Russia (?) non è ancora visibile a tutti, si offre qui nella sua più totale nudità. La riforma linguistica in favore di una fantastica lingua turca originaria (liberazione dall’influsso arabo e persiano) ma, allo stesso tempo, tecnico-modernizzatrice, ha portato al fatto che nessuna persona al di sotto dei 25 anni è più in grado di comprendere un testo letterario, religioso o filosofico più vecchio di dieci anni, e che la specificità della lingua, sotto la spinta dell’alfabeto latino, introdotto a forza alcuni anni fa, scompare rapidamente. Potrei elencare dettagli per parecchie pagine; il tutto a questo punto si potrebbe sintetizzare così: mi diventa sempre più chiaro che l’attuale condizione mondiale non è altro che una trama della provvidenza per condurci, su una strada sanguinosa e straziante, verso l’Internazionale della banalità e una cultura dell’esperanto. L’avevo già capito in Germania e in Italia, di fronte alla spaventosa inautenticità della propaganda “Blubo” (acronimo di Blut und Boden, sangue e terra), ma solo qui ne ho acquisito piena coscienza.

Le volevo scrivere ancora qualche parola sugli ultimi anni in Germania, ma devo rimandare, perché scrivendo questa lettera sono stato interrotto continuamente ed ora non ho più tempo. Mi dispiace che il suo rapporto con E. Bloch si sia offuscato, e mi dispiace per entrambi; ma forse fa bene a non prendere troppo seriamente questo offuscamento: lo conosce da molto, alcune caratteristiche della sua natura vanno messe in conto, e forse sulla base di esse è possibile riprendere un rapporto duraturo. Come sta invece Burschell, e dove si trova? Mio cognato Hausmann e sua moglie, appena scappati da Ibiza, cacciati dalla Svizzera, andranno forse a Parigi. Che lei sia nella condizione di dare un qualche aiuto mi sembra poco probabile; tuttavia sono sicuro della sua amichevole disponibilità, e quindi darò loro in ogni caso il suo indirizzo.Spero di avere presto sue notizie. Un carissimo ricordo da parte nostra.

Suoi E e M A

3 gennaio 1937 – Istanbul-Bebek – Arslandi Konak

Traduzione di Elena Fabietti

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