Sono in tabellone agli Internazionali d’Italia che iniziano lunedì. Anche contro il volere del presidente del Coni, Gianni Malagò e con il Cio che ha deciso il bando a ogni competizione mondiale poco dopo il via al conflitto in Ucraina. Su Wimbledon invece non ci sono stati ripensamenti, niente torneo per i tennisti russi (e bielorussi). La questione è ancora sul tavolo e resterà un tema assai caldo, dopo Roma ci sarà il Roland Garros che precede Wimbledon di un paio di settimane, con i francesi che non hanno pensato neppure un attimo a mettere al bando ai russi.

INVECE A LONDRA NO. L’erba inglese curata come un neonato ogni giorno per l’evento sportivo dell’anno e proibita ai connazionali di Putin ha provocato l’irritazione di totem del tennis come Rafa Nadal e Novak Djokovic. Assieme contano 41 prove del Grand Slam, sono agli antipodi, lo spagnolo è amato da tutti, il serbo sta scontando da mesi la sua avversione al vaccino contro il Covid-19, tra sconfitte e il poco feeling con pubblico e colleghi, dopo l’esclusione forzata, con processo-sceneggiata – dagli Australian Open.

Entrambi però ritengono che gli atleti russi non possano, non debbano pagare per l’invasione voluta da Putin in Ucraina. In sostanza, è il loro pensiero, la scelta irresponsabile del Cremlino non dovrebbe ricadere su chi non è responsabile della guerra. Anche lo scozzese Andy Murray, due volte vincitore sull’erba di Wimbledon e che ha deciso di destinare alla ricostruzione ucraina i guadagni del 2022, non sostiene il divieto per i russi di disputare il torneo.

Sergiy Stakhovsky, ucraino anche tra i primi 20 al mondo e vincitore su Roger Federer nell’edizione 2013 di Wimbledon, si è scagliato contro Djokovic e soprattutto Nadal. Ha lasciato da poco il tennis ed è tuttora al fronte, in mimetica (ospite anche in un paio di programmi tv italiani), a combattere per il suo paese come tante altre stelle dello sport ucraino e su Instagram ha chiesto al fuoriclasse spagnolo cosa pensasse invece dei tennisti ucraini senza una casa in cui tornare, con amici e familiari uccisi.

NELLA DISCUSSIONE si è inserito – chiamato ovviamente in causa – Andrei Rublev, tra i primi dieci al mondo nella classifica Atp, ovviamente escluso da Wimbledon. Uno dei casi isolati di sportivi russi a condannare la scelta di Putin, Rublev ha proposto al comitato organizzatore inglese di accogliere lui e i suoi connazionali, con donazione integrale dei compensi maturati a Wimbledon da destinare alla ricostruzione ucraina. La proposta non è stata accolta. Non aveva alcuna possibilità di essere neanche valutata.

La scelta dell’All England Club, il potente e aristocraticissimo comitato organizzatore di Wimbledon che decise anni fa sul look total white così contestato dagli atleti – ha messo in crisi anche l’Atp e la Wta (il circuito professionistico maschile e femminile), totalmente svuotati di potere. Russi e bielorussi al momento possono prendere parte ai tornei, ma sotto bandiera neutrale e senza inno. Soprattutto, rischia di essere la prima di una lunga lista di divieti d’accesso per gli sportivi russi.

IL PRESIDENTE DEL CONI ha spiegato che il bando potrebbe essere esteso anche alle Olimpiadi estive di Parigi, in programma tra due anni. E nel frattempo l’Uefa ha stabilito che per i club russi non ci sarà la partecipazione alla prossima edizione della Champions League.

Sul bando a Wimbledon certamente ha avuto un peso decisivo il pressing serrato, continuo di Boris Johnson, allergico, come Sua Maestà, all’idea che un pezzo della Royal Family – magari Kate o il principe William – dovesse condividere il palco del vincitore del torneo con un russo o una russa. Daniil Medvedev, numero due al mondo, ex numero uno, che a differenza di Rublev non si è fatto nemico Putin, augurandosi “solo” la pace al più presto, sarebbe stato uno dei favoriti per il titolo. E almeno un paio di atleti russe avrebbero potuto vincere a Wimbledon. L’idea di una cartolina del genere in giro per il mondo ha fatto il resto, tenendo a mente che il cattivo sangue tra Regno Unito e Russia è precedente alla guerra in Ucraina.

LA VISITA DI JOHNSON A KIEV, a stringere le mani di Zelensky, non ha poi certo disteso il clima tra le parti. Il Cremlino infatti ha reagito duramente, definendo il bando a Wimbledon «una decisione folle». Prima e dopo l’ostracismo verso i russi a Wimbledon, il governo Johnson ha sequestrato patrimoni agli oligarchi accoliti di Putin, sinora al sicuro in Inghilterra. Roman Abramovich, tuttora ingaggiato come mediatore al fantomatico tavolo per la fine delle ostilità militari, è stato praticamente costretto a mettere in vendita il Chelsea, se il club londinese non sarà ceduto entro l’8 giugno – scrive qualche tabloid – per il Chelsea non ci sarà l’iscrizione alla Premier League che parte ad agosto.