Il matrimonio (part.) nel Trittico dei sette Sacramenti di Rogier van der Weyden, 1445-1450, Anversa, Museo Reale di Belle Art
Il matrimonio (part.) nel Trittico dei sette Sacramenti di Rogier van der Weyden, 1445-1450, Anversa, Museo Reale di Belle Art
Alias Domenica

Erasmo, matrimonio, elogio di un’istituzione per la società nuova

Classici europei «Encomium matrimonii» e «Christiani matrimonii Institutio»: come affrontare oggi i due trattati erasmiani, ora a cura di Olivia Montepaone per Aragno. Visione fondata sull’esegesi biblica, contraria alla strumentalizzazione del potere
Pubblicato 13 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

E’ ineludibile regola, quando si riferisce di un libro, inserirlo nel contesto storico e ideale nel quale fu scritto ed evitare anacronistiche attualizzazioni o sbrigativi parallelismi, usandolo più quale strumento di propaganda che al fine di lumeggiare il suo peso. Se un quid, o qualcosa di più, del sentire contemporaneo permea ogni narrazione, tematiche vive nel presente e impostazioni radicate nel passato è norma da seguire, talvolta con prudenza allusiva, sempre con onestà filologica. Ma è difficile sfogliare gli Scritti sul matrimonio di Erasmo da Rotterdam (1466-1536) edito da Nino Aragno (pp. LXV-664, € 50,00) senza pensare alle accanite discussioni dei nostri giorni e immaginare quali avrebbero (forse) potuto essere gli sviluppi dottrinari in materia della Chiesa di Roma nella temperie della Controriforma o, se si preferisce, nel rinnovamento non omogeneo di una Riforma cattolica affine in aree e esperienze circoscritte al protestantesimo nordico. Le questioni legate al ruolo della famiglia nella società e la querelle sul celibato o meno dei sacerdoti, nonché delle posizione della donna nell’ordine gerarchico, sono oggi all’ordine del giorno nel clima sinodale, ricco di colpi di scena e percorso da non velati antagonismi.

Frutto di una programmata «Biblioteca Erasmiana Europea», introdotto a cura di Lucia Felici, tradotto e annotato a cura di Olivia Montepaone, il volume offre a cinquecento anni dalla pubblicazione nella loro integrità due testi fondamentali spesso saccheggiati per brevi citazioni o emarginati dal 1558 dalla censura che investì l’opera erasmiana, ritenuta troppo lacerante e audace. Così risulta anche al lettore non specialistico di notevole interesse seguire il discorso del battagliero umanista per come si articola nell’Encomium matrimonii, impreziosito da un apparato che riporta le modifiche successive alla prima apparizione (1518) fino alla definitiva del 1534, e nell’amplissima erudita Institutio Christiani matrimonii (1526). Se l’Encomio sfoggia la vivacità tipica del genere declamatorio e un incisivo vigore polemico, l’Istituzione ha ambizioni più sistematiche e s’intrattiene in una casistica di enorme puntigliosità . Il matrimonio era una tessera essenziale nel mosaico della societas cristiana concepita dal mite e pugnace agostiniano che non amava la solitudine claustrale. Le idee da lui sostenute si opponevano drasticamente alla funzione che il matrimonio aveva ricoperto nell’Ancien régime, tesa a garantire stabilità e continuità del potere dei ceti dominanti.

Vien fatto di riferirsi, a mo’ di quadro divulgativo, alla diversità tra la pratica dell’educazione familiare (con tutte le implicazioni connesse) delineata da Manzoni nella classe nobiliare e l’amorosa generosità che unisce Renzo e Lucia in un legame nutrito da puri e autentici sentimenti. (Sfacciato e semplificante anacronismo!). Erasmo non esita a collocare il matrimonio al vertice – solido pilastro – dei costumi di una nuova società retta da rapporti non guidati da volgari mire di dominio. Se egli non ebbe il tempo di compiacersi (relativamente) dell’importanza dell’unione matrimoniale esaltata col decreto tridentino Tametsi (1563), contribuì a farne consuetudine ammessa e praticata in ambito protestante: «Privato del suo carattere sacramentale – osserva Felici – attraverso l’esegesi biblica, fu per Erasmo il vincolo sacro tra l’uomo e la donna, simile all’unione del divino e dell’umano in Cristo e al suo amore per la Chiesa, sua sposa, ma profondamente radicato nella realtà umana, in primis nelle esigenze sessuali, affettive e relazionali della coppia». È ovvio sottolineare che la rivoluzione avveniva nella fedeltà alla concezione patriarcale della famiglia, ma evidenti sono i mutamenti e gli effetti deducibili. Tra i tanti passi dell’esegesi biblica chiosati da Erasmo spiccano i passaggi evangelici del cruciale Matteo, 19. Tirando in ballo Genesi 2, 24, Erasmo richiama il famoso comandamento: «Ciò che dunque Dio ha unito sotto lo stesso giogo, l’uomo non lo separi». Ma nel prosieguo precisa ai maliziosi farisei che è lecito ripudiare la moglie «per motivo di fornicazione». Se, però, l’unione del «sacro vincolo» si era dissolta, inevitabile che si dissolvesse un matrimonio non più vero. Il divorzio finiva per essere compreso sul piano dei rapporti civili. Non sfugge l’impronta che oggi diremmo maschilista delle parole tramandate, ma l’eccezione è comunque contemplata ove l’unione naturale si dissolva e la reciproca fedeltà venga meno. La donna vedeva valorizzato il suo ruolo nella conduzione domestica, e in pubblico era abilitata a prendere la parola assumendo la dignità di una guida etica. La «naturalizzazione» del diritto produceva conseguenze che avevano un alto grado di generalità. La verginità era innaturale e dunque era giusto che gli ecclesiastici non fossero imprigionati in una mutilante condizione di celibato.

Nell’Institutio Erasmo si rivolse con accenti durissimi alla dedicataria Caterina d’Aragona, moglie di Enrico VIII, e non risparmiò una critica severa a potenti principi e illustri dame che avrebbero dovuto esser d’esempio alle popolazioni: «Infatti – scrisse – le classi inferiori imitano volentieri ciò che voi mostrate e anche la vergogna tratterrà coloro che hanno un patrimonio modesto dal dissolversi turpemente nel lusso, se avranno visto che l’ostentazione di ricchezze è condannata da voi». La riforma vagheggiata da Erasmo entrava nell’agone della politica, nell’aspra lotta delle classi, con inflessioni non prive di un moderato paternalismo. Ma nell’insieme – e senza peccare di anacronismi – la disamina del poderoso trattato porta a condividere il giudizio che Silvana Seidel Menchi condensò (1987) nel suo Erasmo in Italia (1520-1580): «Se si tiene presente il ruolo che culto della verginità e misogamia svolgono nella cultura religiosa popolare del tempo, in particolare nelle biografie dei santi e nella loro iconografia, la rottura con la tradizione risulta qui nettissima».

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