Il «macellaio» se n’è andato. Per il popolo palestinese – per chi è rimasto a vivere nelle proprie terre e per chi è rifugiato da sei decenni – il «bulldozer» di Tel Aviv resterà uno dei più bellicosi leader israeliani e il campione del progetto sionista. Dal 1948 al 2006, Ariel Sharon ha radicato le fondamenta dello stato per soli ebrei guidato da un chiaro obiettivo: minimizzare la popolazione araba all’interno della Palestina storica. Dove non è potuto arrivare con le milizie sioniste dell’Haganah nel 1948 e con le truppe israeliane nel 1967, ha operato attraverso l’avvio e la radicalizzazione della colonizzazione dei Territori Occupati. A guidarlo un nuovo obiettivo: massimizzare la popolazione palestinese in spazi minimi.
Dietro di sé ha lasciato stragi e massacri. Normale che oggi in Palestina nessuno esprima alcun tipo di cordoglio per la sua scomparsa. Né tra i leader dell’Anp né tra la gente comune, che nelle ultime ore ha utilizzato Facebook e Twitter per ricordare Sabra e Shatila, Jenin, Qibiya. Per ricordare i propri martiri, i propri rifugiati, più che per celebrare la morte del «macellaio». L’immagine più postata nei social network è la vignetta del noto cartoonist Latuff: l Sharon scende le scale dell’inferno, con la Palestina che lo guarda dall’alto, appesantito da catene legate ai piedi. Ognuna con su scritto un nome: Sabra, Shatila, Jenin. Ad attenderlo, il fuoco.
Silenzio invece dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, impegnato negli ultimi mesi in un negoziato senza via di uscita con il successore di Sharon a capo del Likud e dell’esecutivo, Benjamin Netanyahu. A parlare è un altro leader di Fatah, ex capo dei servizi segreti palestinesi e oggi presidente della Federazione Calcio Palestina. Jibril Rajoub ha puntato il dito contro la comunità internazionale, responsabile di non aver trascinato Sharon di fronte a un tribunale internazionale: «Sharon era un criminale, responsabile dell’assassinio del presidente palestinese Yasser Arafat – ha detto Rajoub – Avremmo voluto vederlo apparire di fronte alla Corte Penale Internazionale come criminale di guerra».
Gli fa eco Wael Abu Yousef, membro anziano dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina: «Il popolo palestinese ricorda bene cosa ha fatto Sharon e cosa ha provato a fare alla nostra gente e al sogno di avere uno stato nostro. Nonostante le colonie e le guerre che ha lanciato contro di noi, qui e in Libano, nonostante i crimini di guerra nei campi di Sabra e Shatila, Sharon se n’è andato, ma il popolo palestinese resta nella propria terra».
Giubilo da parte del governo de facto della Striscia di Gaza. Hamas non nasconde la gioia per il decesso dell’ex premier israeliano: «Siamo diventati più certi della vittoria dopo la scomparsa di questo tiranno – ha commentato il portavoce del movimento islamista, Sami Abu Zurhi – La nostra gente oggi è estremamente felice per la scomparsa di un criminale che aveva le mani sporche del sangue del nostro popolo e del sangue dei nostri leader, qui e in esilio».
In Libano i primi commenti giungono dal campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh, nel Sud del paese, dove la gente non nasconde la propria gioia per la morte del responsabile dell’occupazione del Libano e del massacro di Beirut nel 1982. Munir Maqdah, comandante militare di Fatah nel campo, ha definito Sharon «il macellaio che ha ucciso palestinesi nei territori occupati e in Libano. Lo stato di Israele è tutto come Sharon e la Palestina potrà essere salvata solo con il potere delle armi».
Spiega bene la figura del leader e del militare israeliano Hussein Ibish, membro dell’American Task Force in Palestina: «Per molti arabi, nessun israeliano nella storia è sinonimo della violenza e dell’espansionismo sionista come Ariel Sharon. Il suo nome riporta subito alla mente i peggiori massacri, il più profondo fanatismo coloniale e le più estreme provocazioni nazionalistiche».
Non stupisce affatto il silenzio del mondo arabo, come spesso accade per tante altre questioni legate al popolo palestinese: nessun leader mediorientale ha per ora commentato la scomparsa di uno dei padri del sionismo. L’unico a parlare, durante un meeting di partito, è stato l’ex presidente iraniano Ahmadinejad: «Spero che la notizia della morte del killer di Sabra e Shatila sia vera».