Epifanie del mood newyorchese con sbirri in azione
Maestri del noir Riediti da Stile libero i primi due romanzi dell’87° Distretto, la più celebre serie procedural, opera dell’autore americano il cui vero nome era Evan Hunter: «Odio gli sbirri» e «Fino alla morte»
Maestri del noir Riediti da Stile libero i primi due romanzi dell’87° Distretto, la più celebre serie procedural, opera dell’autore americano il cui vero nome era Evan Hunter: «Odio gli sbirri» e «Fino alla morte»
Chi volesse conoscere la storia sociale di New York capitale del XX secolo, nei decenni gloriosi in cui le sue torri, i suoi quartieri di lusso e forse ancora di più i suoi ghetti erano il centro del mondo, avrebbe a disposizione pochi testi più preziosi dei cinquantacinque romanzi (più una decina di racconti) i cui protagonisti sono gli sbirri dell’87° Distretto, scritti tra il 1956 e il 2005 da Ed McBain. Certo, New York non è mai citata apertamente, ma basta poco per scoprire che Island, è Manhattan rovesciata, che Calm’s Point è Brooklyn, Riverhead il Bronx, Majesta sta per Queens e che Bethtown è Staten Island.
Ma ancora prima di scivolare nei dettagli, l’atmosfera newyorchese si respira già nella appassionata dichiarazione d’amore, travestita da descrizione della metropoli scintillante e violenta, della prima pagina di quello che è il primo romanzo Cop Hater, del 1956, pubblicato e più volte rieditato in Italia con il titolo L’assassino ha lasciato la firma, e ora riproposto da Stile Libero Einaudi con un titolo più fedele all’originale, Odio gli sbirri, nella seconda traduzione italiana, quella splendida degli anni ottanta, a cura di Andreina Negretti (pp. 253, euro 14.50).
Anche se il ciclo dell’87° Distretto è probabilmente la serie procedural più celebre nella storia del noir, non è questa la vera grande innovazione apportata da Salvatore Lombino – figlio di immigrati della provincia di Potenza, noto come Evan Hunter nella letteratura mainstream e destinato poi ad adoperare almeno altri cinque o sei pseudonimi per incursioni varie in ogni genere letterario. L’albero genealogico della narrativa centrata sulle vere procedure investigative risale a Wilkie Collins e alle brume della Londra vittoriana. Nel ’56, aveva raggiunto una forma già perfettamente definita con il romanzo V as Victim, che Lawrence Treat pubblicò nel 1945, e soprattutto aveva spopolato prima alla radio e poi in tv con la serie Dragnet, ancora oggi considerata il vero capolavoro del procedural.
Ed McBain riconosceva senza ipocrisie l’enorme debito dei suoi poliziotti newyorchesi nei confronti dei colleghi della Los Angeles di Dragnet. Al modello aggiunse però due elementi fondamentali: l’irrompere nel plot poliziesco della vita privata dei protagonisti e la durevole osmosi tra la fiction del distretto e la realtà dei cambiamenti nella struttura sociale e nella mentalità dell’America, e in particolare di New York City.
La prima innovazione di McBain è illustrata magistralmente dal secondo romanzo pubblicato da Stile Libero, contemporaneamente a quello d’esordio, Fino alla morte (pp.210, euro 14.50), conosciuto in Italia sinora col titolo Tutti per uno all’87° distretto, anche questo con la traduzione di Andreina Negretti. È il nono romanzo del ciclo, l’ultimo pubblicato negli anni cinquanta, ed è tutto ambientato nella dimensione privata dei cops del distretto. L’occasione è il matrimonio di Angela, sorella del personaggio principale dell’intera serie, il detective di origini italiane Steve Carella (che nelle prime traduzioni era stato ribattezzato da noi, chissà perché, Carell, proprio per nasconderne le radici italiche). La sera prima delle nozze il promesso sposo, un altro italo-americano, riceve in dono un’elegante scatoletta con dentro una vedova nera. Carella e gli altri sbirri del distretto si occupano così di sorvegliare la cerimonia, senza peraltro riuscire a impedire che vi avvenga un omicidio.
La trama noir finisce per essere secondaria rispetto alla descrizione minuziosa e precisa di un matrimonio italiano nel Bronx alla fine degli anni cinquanta. A imporsi come protagonista (nota giustamente nella prefazione lo scrittore italiano Maurizio De Giovanni, allievo e emulo di McBain) è l’intera famiglia Carella.
Se a partire dal primo romanzo, in cui la vicenda era centrata sulla caccia a un serial killer di sbirri, l’autore aveva riportato la lotta al crimine nella sua vera sede naturale, le stanze spoglie maleodoranti e rovinate, bollenti d’estate e gelide d’inverno, di un distretto di polizia, nei romanzi pubblicati subito dopo al ritmo di tre all’anno restituisce ai poliziotti la loro quotidianità fatta di mutui da pagare, disavventure sentimentali, tensioni coniugali, famiglie da mantenere. Quelli di Ed McBain non sono i poliziotti dannati di James Ellroy e neppure quelli nevrotizzati dal loro lavoro quotidiano, forse più realistici, di Joseph Wambaugh. L’autore li ha voluti, infatti, assolutamente normali, riflessi fedeli del common man americano, alcuni onesti e alcuni no, alcuni dediti al loro compito, altri scansafatiche. A volte, come nel caso di «Fat Ollie» Weeks, che pur non facendo parte del distretto incrocia spesso la strada di Carella e dei suoi colleghi, questi uomini sono sgradevoli, razzisti, pieni di pregiudizi e tuttavia capaci nel loro mestiere.
La torsione operata da Ed McBain, mischiando la dimensione professionale a quella privata, risale a una di quelle intuizioni tanto semplici e banali all’apparenza quanto in realtà deflagranti. Dall’87° distretto in poi i romanzi, i film e le serie tv che hanno ripreso il modello sono state innumerevoli e continuano a moltiplicarsi. Una delle più recenti è quella dei Bastardi di Pizzofalcone, di Maurizio De Giovanni, forse il miglior autore noir che ci sia oggi in Italia: la saga dei poliziotti napoletani che ha spopolato in tv lo scorso inverno è dichiaratamente ispirata ai cops di McBain, e De Giovanni – che dello scrittore americano è da sempre un grandissimo ammiratore – firma le prefazioni dei due libri che inaugurano la riedizione dell’intero ciclo, oggi irreperibile in italiano.
La seconda intuizione dell’autore italo-americano è meno vistosa ma più sottile e incisiva. Sia per gli ambienti nei quali si trovano a indagare, sia per la composizione della squadra e per le relazioni al suo interno, i romanzi dell’87° Distretto sono un sismografo sensibilissimo che registra ogni spostamento del senso comune dei newyorchesi, le modifiche nei rapporti con il sesso e con le questioni razziali, le alterazioni nei sistemi di valori, gli slittamenti nei modelli egemoni di riferimento e allo stesso tempo sfilano, di libro in libro, tutte le tempeste che hanno traversato l’America nell’arco di mezzo secolo.
Sotto le spoglie di Evan Hunter, Lombino era stato tra i primissimi a cogliere, nel ’54, i segnali del disagio e della rivolta giovanile con Blackboard Jungle, diventato un famoso film col titolo italiano Il seme della violenza, e poi a esaminare i cambiamenti nei rapporti matrimoniali alle porte degli anni sessanta con Gli Amanti, che uscì nel ’58. Lo stesso occhio attento a ogni trasformazione sociale Lombino/McBain lo riapplica nei meno ambiziosi ma più riusciti romanzi noir. Proprio la rapidità della sua scrittura quasi giornalistica e la sua immediatezza trasformarono il ciclo dell’87° Distretto, persino negli ultimi e più stanchi titoli, in un diario buttato giù a caldo, come una cronaca in diretta della storia di New York nella seconda metà del Novecento e oltre.
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