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Ensi: «Il mio rap non porta maschere»

Ensi: «Il mio rap non porta maschere»Ensi

Musica Si intitola «Clash» il quinto album dell'artista che ha attraversato la scena hip hop italiana in un percorso ormai ventennale

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 febbraio 2019

Clash, il quinto album di Ensi, si apre con una dichiarazione di intenti. Ensi è tornato e rivendica l’appartenenza a un genere, il rap, che lui padroneggia come pochi altri. «V mi ha ricordato di ricordarvi chi è il capo, non capisce ancora tutto ma ha capito chi è il più bravo» canta Ensi nel pezzo di apertura, aggressivo e potente, e se non fosse chiaro come la pensa sui nuovi fenomeni della trap: «Vedo ‘sta scena di bambini, dissing coi telefonini, è una battaglia di cuscini». Ne ha tutte le ragioni. Ensi ha attraversato la storia recente dell’hip hop italiano, in un percorso ormai ventennale, prima da giovanissimo con OneMic, gruppo fondato assieme a Rayden e al fratello Raige (entrambi i fratelli di Ensi sono rapper, il più giovane è Lil’ Flow), poi con una carriera solista cominciata con le prime battles di freestyle, da eventi come 2theBeat fino al programma televisivo Mtv Spit.

E HA ASSISTITO  all’esplosione di un genere, inizialmente scena per una piccola nicchia di appassionati, oggi fenomeno musicale arrivato alle orecchie di tutti. «Questa cosa ho avuto la fortuna di viverla prima da spettatore, quando te la dovevi andare a cercare e da adolescente mi faceva sentire parte di qualcosa» spiega Ensi. «Negli anni poi abbiamo visto il rap diventare qualcosa di enorme. Già nel 2005, quando vinsi 2theBeat, si trattava di feste che raccoglievano 5mila persone. Vedevo il movimento riunirsi, crescere. E non posso essere che contento di quel che è successo». Come a sancire il suo ruolo in tutta questa storia, Ensi è presente in due delle pellicole più interessanti uscite ultimamente sul rap in Italia, il documentario Numero Zero e Zeta, film di finzione sul mondo dell’hip hop, cui hanno prestato volti e voci molti dei protagonisti dell’attuale scena italiana.

Clash è un disco che, pur partendo da solidissime radici rap, si apre a contaminazioni. Tra gli ospiti presenti nel disco ci sono Patrick Benifei, cantante di Bluebeaters e Casino Royale, Attila, una delle voci più interessanti della scena reggae italiana, e Agent Sasco, artista giamaicano di dancehall che in carriera ha collaborato con Sean Paul, Kanye West e Kendrick Lamar, uno dei riferimenti più importanti del rap odierno secondo Ensi. Agent Sasco compare in Rapper, brano in cui Ensi si alterna a Johnny Marsiglia, mc originario di Palermo. «Essendo questo un disco dove il rap la fa da padrone» spiega Ensi, «ho invitato quello che per me è il più bravo. Marsiglia è assolutamente tra i migliori, assieme a Luchè, Marracash, Salmo, anche se magari fino ad oggi i numeri non l’hanno premiato in questo senso, ma diamo tempo al tempo».

COME già nello scorso V, album dedicato al figlio Vincent, c’è molto di personale nel nuovo capitolo discografico di Ensi. Emerge la capacità del rapper torinese di raccontare le cose più intime, “normali”, quelle emozioni che sono di tutti. Un brano è dedicato al fratello, uno alla compagna, l’amore per la famiglia resta un riferimento importante. «Quando mi racconto e parlo così a cuore aperto nascono quelle che forse sono le mie canzoni migliori» riflette Ensi. «A nutrire la mia arte c’è sempre una carica umana importante e sono contento di sentire ancora forte questa radice, questo attaccamento, in un’epoca molto materialista e individualista come quella in cui stiamo vivendo. Sono sempre stato molto onesto nel fare questa musica, non ho mai messo una maschera o cavalcato un momento storico favorevole. Racconto semplicemente la mia vita, cercando di filtrarla attraverso la musica».

ED E’ PROPRIO in questa impronta quasi cantautorale (e non è casuale la partecipazione di Ensi al disco Bella Lucio!, tributo a Lucio Dalla) che Ensi vede una delle direzioni in cui andrà il nuovo rap: «Quello che secondo me succederà nell’immediato futuro, e spero che anche Clash in questo sia un po’ pionieristico, è un ritorno alla profondità della penna, una cosa che negli ultimi anni forse si è persa un pochino. E questo è anche legato al successo davvero mainstream che ha avuto questa musica. Secondo me manca un po’ di credibilità di fondo. Si è messo un po’ da parte il lato più profondo di questo genere. Ma secondo me stiamo andando proprio lì, questa è la mia sensazione. E io non l’ho mai abbandonata questa roba».

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