Ennio, un Omero reincarnato nel segno moderno degli alessandrini
Jacques Blanchard, Marte e la vergine Vestale, 1638 – Sydney, Art Gallery of New South Wales
Alias Domenica

Ennio, un Omero reincarnato nel segno moderno degli alessandrini

Classici perduti Efficacia descrittiva, realismo psicologico e riflessione etica, in uno stile sostenuto e versatile, marcato dalla ricerca fonica: con gli «Annali» Roma ha un epos storico
Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 agosto 2023

Seicento versi, non tutti interi, sono quello che leggiamo degli Annali di Ennio, un poema che, in diciotto libri, doveva contarne più di diecimila. Gli oltre quattrocento frammenti, di tradizione indiretta, sono citazioni o testimonianze di autori (da Varrone e Cicerone a Gellio e Macrobio), grammatici, commentatori tardoantichi: offrono informazioni sul contenuto, esempi di peculiarità linguistiche, confronti con Virgilio e Omero; restituiscono termini isolati, clausole d’esametro, sequenze di parole dalla disposizione incerta, spesso un verso completo o poco più – in qualche caso felice, fino a una ventina di esametri di fila.

Di un epos storico che narrava le vicende di Roma dalle origini mitiche fino a pochi anni prima della morte del suo autore (169 a.C.), pochi resti hanno una loro compiutezza.

Il sogno di Ilia, raccontato con angoscia alla sorella, che traspone in forma onirica la violenza di Marte e annuncia la nascita dei gemelli; Romolo e Remo intenti a prendere gli auspici dal volo degli uccelli, per decidere chi sarà re; il ritratto dell’‘amico di Servilio’, un modello di intellettuale consigliere dei potenti: pezzi da antologia, che fanno apprezzare efficacia descrittiva, realismo psicologico, riflessione etica, e mostrano uno stile sostenuto e versatile, marcato dalla ricerca fonica (l’‘espressionismo arcaico’).

Gran parte dei frammenti pone problemi di ricostruzione e accende dispute tra i filologi. Era il 1985 quando Otto Skutsch pubblicava a Oxford la sua edizione commentata degli Annales, coronando decenni di studio e segnando un progresso rispetto alle due edizioni di tutti i frammenti enniani curate da Johannes Vahlen (Lipsia, 1854; 1903²). In Italia, uno dei massimi filologi del secolo scorso, Sebastiano Timpanaro, incoraggiato dal maestro Giorgio Pasquali, aveva pubblicato, tra il 1946 e il ’48, i suoi contributi Per una nuova edizione critica di Ennio – la sua tesi di laurea, nutrita dal dialogo con Scevola Mariotti.

La notizia che Skutsch stava lavorando da anni a un’edizione distolse Timpanaro dall’impresa, ma avviò tra i due una discussione destinata a durare quanto l’amicizia, quasi cinquant’anni. Il dissenso non si placò mai. Skutsch pensava che Ennio avesse dato all’esametro leggi precise e vi si attenesse con rigore: analogista in materia di prosodia, metrica, lingua, congetturava di conseguenza. Timpanaro ribatteva osservando le molte irregolarità enniane, difendeva il testo tràdito, avanzava nuove proposte; i suoi interventi hanno lasciato il segno nella nuova edizione commentata realizzata, tra il 2000 e il ’09, da un gruppo di studiosi italiani e diretta da Enrico Flores (Liguori Editore).

Nel bilancio della letteratura latina sommersa, quello degli Annales, con le altre opere di Ennio, è un naufragio tra i più ingenti. I frammenti superstiti conservano tratti inconfondibili, anche se manca il ‘fasciame’ che li teneva insieme. In un passo famoso, Orazio sostiene che la satira (sua e di Lucilio), se le si toglie il metro, non si distingue dalla prosa; se invece – continua – provi a disfare versi come: “postquam Discordia taetra / Belli ferratos postes portasque refregit” («Poi che Discordia tetra infranse di guerra i ferrati battenti e le porte»), allora «le membra del poeta le ritrovi, anche fatto a brani» (invenias etiam disiecti membra poetae: Satire 1, 4, 60-2). Tolta dal suo contesto (se non dal metro), il lettore antico doveva riconoscere qui, all’istante, la descrizione della Discordia nel VII libro degli Annales. E anche noi non abbiamo difficoltà ad accostare quell’esametro e mezzo al resto che di Ennio possediamo: solo, rimpiangiamo di non avere di più.

I papiri ercolanesi non hanno regalato novità e minima è la speranza di ritrovare ciò che è perduto. Ma, del ‘padre Ennio’, resta la memoria nei suoi successori: i poeti – epici e non – che menzionano il suo nome, tra reverenza e rifiuto, polemizzano con lui (o con i suoi estimatori), definiscono sé stessi per opposizione alla sua poesia o ne esibiscono il ricordo, e dialogano coi suoi testi, in modi che possiamo riconoscere, intravedere, qualche volta intuire.

Alle origini della letteratura latina, Ennio ha l’orgoglio dell’iniziatore, nel genere più prestigioso. La traduzione artistica dell’Odissea (l’Odusia di Livio Andronico), il poema in saturnî sulla prima guerra punica (il Bellum Poenicum di Nevio) rimpiccioliscono di fronte a un’opera dirompente, che ricrea l’esametro a Roma e consacra un «secondo Omero». Il proemio del VII libro lo dichiara: «altri scrissero nei versi che un tempo cantavano i Fauni e i vati», e «prima di me» – vanta Ennio – non c’era nessuno «amante della parola». Dicti studiosus: Roma ha ora il suo «filologo», capace di riprodurre, anche nella definizione di sé (un calco del greco philo-logos), l’ideale ellenistico del poeta dotto.

Ennio, l’‘arcaico’ nella tradizione romana, ai contemporanei si presenta come una novità assoluta. La polemica col predecessore è una mossa moderna, che ha l’autocoscienza degli alessandrini: il pioniere dell’esametro latino si mostra non estraneo alle tendenze della poesia greca coeva. Ma, mentre in Grecia i poeti-filologi rielaborano con arte raffinata una tradizione di secoli, raccolta nella biblioteca di Alessandria, a Roma la letteratura sta nascendo e insegue, con ritardo, il crescere della potenza politica. Chi scrive poesia si rivolge al pubblico vasto delle rappresentazioni teatrali, tenta generi sublimi come la tragedia, o cerca una dimensione nazionale nel genere grande dell’epos eroico – quello che, in ambito ellenistico, la moda letteraria dominante ormai rifiuta. La poetica di Callimaco prescrive forme brevi, stile lungamente vegliato, dottrina e originalità insieme. Ennio, sperimentale e ricercato in alcune opere minori, a destinazione ristretta, nella misura grande degli Annales esordisce come Omero redivivo: in sogno, l’ombra del massimo poeta gli rivela che la sua anima si è reincarnata in lui ed espone la teoria pitagorica della metempsicosi. Una visione cosmica inaugura l’epos sotto il segno di Omero, padre dell’epica e iniziatore della poesia scientifico-didascalica, di cui Ennio dà qui un saggio (Lucrezio lo confuterà, sul piano filosofico, in De rerum natura 1, 117-9). Omero, dunque. Ma il sogno di investitura, sul modello di Esiodo consacrato dalle Muse, reca l’impronta recente degli Aitia di Callimaco.

Nei poeti romani arcaici, un callimachismo ancora indiscriminato convive con l’esigenza di costruire una letteratura per la comunità, impegnata, su temi grandi. È coi neoteroi che l’adesione a Callimaco diventerà rigorosa ed esclusiva: un poema alla maniera enniana, gli Annali di Volusio, per Catullo sarà cacata carta. E sarà la sfida degli augustei, infine, a riconciliare callimachismo e letteratura grande, generi elevati e ricerca di perfezione formale. Virgilio, il nuovo Omero, ambisce a sostituire Ennio, che Ovidio definirà «carente» e «rozzo nell’arte». Perché – scrive Orazio ad Augusto, anteponendo i moderni agli arcaici – «Ennio, sapiente e valoroso e ‘secondo Omero’, come dicono i critici, sembra curarsi poco di dove vadano a finire le promesse e i sogni pitagorici» (Epistole 2, 1, 50-2).

L’Eneide diventa presto, e per sempre, un classico. Nella sua rassegna degli epici latini, Quintiliano invita a tributare a Ennio la venerazione che si deve ai «boschi sacri per la loro vetustà», dove le «querce maestose e antiche» «non hanno tanta bellezza quanto valore religioso» (Institutio oratoria 10, 1, 86). In età flavia, gli Annali sono ancora disponibili per la lettura integrale, anche se sono esclusi da tempo dal curriculum scolastico; rimessi forse in circolazione nell’età di Adriano, non sembrano sopravvivere integri dopo l’inizio del V secolo.

È nei testi di Lucrezio e Virgilio che possiamo trovare le tracce più profonde dell’opera scomparsa – spesso proprio la vicinanza tra Virgilio e Lucrezio, come intuì Eduard Norden, lascia intravedere l’ombra di Ennio. Nel ‘proemio al mezzo’ delle Georgiche, Virgilio annuncia il suo prossimo progetto epico echeggiando l’autoepitafio enniano: «Devo tentare una via per cui anch’io possa sollevarmi da terra e volare vincitore sulle bocche degli uomini», victorque virum volitare per ora (Ge. 3, 8-9). L’Eneide sarà un dialogo continuo col fondatore della tradizione epica latina. È così, attraverso le parole del suo successore, che Ennio continua a vivere – e realizza la sua profezia: volito vivos per ora virum, «volo vivo sulle bocche degli uomini».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento