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Emmanuel Carrère, tra i fantasmi della finzione e le ombre dell’Io

Emmanuel Carrère, tra i fantasmi della finzione  e le ombre dell’Io

A partire da L’avversario (tradotto nel 2000 da Einaudi), la scrittura di Emmanuel Carrère ha trovato il suo perno in un’originale ibridazione di biografia e autobiografia, una sorta di corpo […]

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 18 luglio 2021

A partire da L’avversario (tradotto nel 2000 da Einaudi), la scrittura di Emmanuel Carrère ha trovato il suo perno in un’originale ibridazione di biografia e autobiografia, una sorta di corpo a corpo letterario con la vita altrui, il cui ritratto biografico emerge a condizione di continui e ossessivi rimandi al sé, in un costante contrappunto con la propria vita, secondo una postura autobiografica che incontra il mondo a partire dai propri fantasmi.
Poiché l’oggetto biografico dipende dalle contingenze esistenziali dello scrittore, vera misura della vita altrui, esso non è mai stabilmente classificabile: dal completo anonimato di un reduce di guerra dimenticato per decenni nella Russia centrale, descritto da Carrère in La vita come un romanzo russo al famigerato personaggio di Limonov; dall’attività di due giudici della provincia francese in Vite che non sono la mia, alla figura colossale di un padre della chiesa come San Paolo nel Regno. L’intera opera di Carrère può essere letta come un esteso esperimento con l’Io, che mira a indagare le ragioni narcisistiche profonde del desiderio umano

Sta qui, forse, la fondamentale differenza tra la scrittura di Carrère e il New Journalism di Capote, più volte evocato dalla critica all’uscita dell’Avversario. La costruzione narrativa e soprattutto la voce narrante sono distanti: Carrère ha fatto della presenza e della sincerità dell’io un postulato della sua scrittura.
Nell’ultima tappa del suo lungo percorso di messa a nudo della prima persona, Yoga (Adelphi, pp. 312, € 20,00), si legge che «la letteratura è innanzitutto il luogo in cui non si mente». Il testo nasce dall’intento di scrivere «un libro arguto e accattivante sullo Yoga», e riporta nella prima parte l’esperienza di un seminario di meditazione, interrotto dalla strage di Charlie Hebdo, nel gennaio 2015, in cui è morto, tra gli altri, un amico dello scrittore; ma non essendo riuscito a prendere la forma prevista, il libro ha poi finito con il diluirsi in un racconto autobiografico che ripercorre la prostrante crisi depressiva in cui cade l’autore, l’esperienza del ricovero psichiatrico e la lenta risalita alla normalità attraverso il volontariato a Leros, in un centro di accoglienza per rifugiati.

Yoga è dunque un libro metaletterario sul fallimento del progetto iniziale; ma non solo. Se lo stile, che si risolve nel consueto carattere cristallino della prosa di Carrère, non riserva particolari sorprese, il patto letterario con il lettore subisce una brusca trasformazione nel finale, dove viene confessato lo statuto finzionale di due personaggi principali e l’alterazione di diverse vicende. È la prima volta che Carrère dà forma a questa forma di autofiction in senso stretto, costruendo un’autobiografia contraddittoria e la cui credibilità è continuamente minata da elementi di finzione. Inevitabile, dunque, la riconfigurazione dell’insistente ricerca di sincerità sulla quale Carrère fondava il solido assioma della propria scrittura. La scelta deriva, probabilmente, da due fattori: uno, extraletterario, nei limiti in cui può esserlo una scrittura che confonde continuamente vita e letteratura, e che consiste nella fine del matrimonio con Hélène, già personaggio di altri libri, la quale impone attraverso alcune clausole divorziali l’evidentissima ellissi della crisi amorosa (di cui non c’è traccia nel libro).

L’altro fattore, più propriamente legato agli equilibri testuali, riguarda il fatto che non è previsto alcun personaggio, alcun peso esterno a controbilanciare la propria storia, solitariamente esposta alle proiezioni e ai fantasmi dell’io. Se queste sono le premesse, il ricorso alla finzione andrà letto non come un tradimento, bensì come l’ estremo tentativo di ricercare quella sincerità, così diversa dalla verità fattuale, che passa dalle menzogne della prima persona.

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